All’inizio, guardavo la strada
sperando di vederlo arrivare
camminando disinvolto tra gli ulivi,
un fischio al cane
che lo piangeva col muso caldo sulle mie ginocchia.
Sei mesi di questa storia
poi ho capito che passavano giornate intere
senza che me ne rendessi conto.
Presi ago e filo, forbici e tela
pensando di distrarmi,
invece mi ritrovai l’industria di una vita.
ricamai una ragazza
sotto una sola stella – punto a croce, seta argento
che rincorre la palla saltellante dell’infanzia.
Per l’erba scelsi tre toni di verde;
un rosa antico, un grigio ombra
per mostrare una boccadileone che gargarizza un’ape.
L’albero lo ricamai col filo nocciola,
il mio ditale come una ghianda
spuntava dalla terra bruna.
Nell’ombra
avvolsi una fanciulla in un profondo abbraccio
col ragazzo-eroe
e mi smarrii del tutto
in un folle ricamo d’amore, desiderio, perdita e rimpianto;
poi guardai lui salpare
nei lenti punti d’oro del sole.
E quando gli altri vennero a prendergli il posto,
a disturbare la mia pace,
presi tempo.
misi su una faccia da vedova, tenni la testa bassa,
facevo il lavoro di giorno e lo disfacevo di notte.
Sapevo a che ora della sera la luna
cominciava a sfilacciarsi,
la rammendai.
Fili grigi e marroni
inseguivano il pesce guizzante del mio ago
a formare un fiume che mai avrebbe raggiunto il mare.
Lo ingannai. Mi stavo disegnando
il sorriso di una donna al centro
del mondo, indipendente, intenta, soddisfatta,
e certamente non in attesa,
quando fuori dalla porta – troppo tardi – udii un passo ben noto.
Inumidii il mio filo scarlatto
e ancora una volta infilai il centro della cruna.
Carol Ann Duffy
Dicono che dietro un grande uomo in realtà ci sia sempre una grande donna.
Carol Ann Duffy, scozzese, voce illustre del panorama letterario mondiale, prova a riscrivere la storia partendo dal punto di vista femminile. La storia- reale e leggendaria- viene rivista e raccontata dalle donne che l’hanno vissuta alle spalle dei loro celebri uomini.
Ecco che nella raccolta “La moglie del mondo” sfilano molte celebri signore, dalla consorte di Pilato, a quella di Freud, da Euridice a Penelope, pronte ad esporre, sotto forma di monologo, le loro ragioni, desiderose di raccontarci la loro versione dei fatti
Nei versi riportati la Duffy dà la parola proprio alla sposa di Ulisse, alla moglie per antonomasia, a Penelope. Costei però sveste i panni della compagna devota e indossa quelli della donna abbandonata, consumata nella vana attesa di un marito ormai lontano da troppo tempo.
Il dolore per la partenza, la speranza dei primi tempi, il nero della vedova, il ritorno ormai inaspettato. Nessun particolare della vicenda è omesso, ma ogni aspetto guardato dagli occhi di Penelope cambia prospettiva, muta i suoi colori.
La tela diventa il simbolo dell’attesa, intessuta e sfilata. Un gesto che doveva essere solo momentaneo, diventa la mesta attività di una vita.
Trapelano il dolore, l’illusione e la disillusione, l’innamoramento e il disinnamoramento di questa donna. Che cosa albergava nel suo cuore durante i duri anni dell’assenza di Ulisse? Quante macerie ha prodotto quell’abbandono?
La vicenda si spoglia dell’eroicità e si presenta a noi in tutto il suo essere drammatico.
I pochi versi finali contengono il messaggio di tutta la poesia. Il racconto si conclude con il ritorno di Ulisse a casa. In realtà, troppo tardi, si lamenta Penelope. La vecchiaia è sopraggiunta e il fiore degli anni è svanito. Il senso di quel matrimonio si è deteriorato con l’attesa. Rimane la tela e tanta solitudine.