Classe 1933, originario di una famiglia di immigrati ebrei che trovarono fortuna negli USA crebbe a Newark in un quartiere popolare. Della sua infanzia e degli anni giovanili Roth parla in gran parte dei suoi romanzi che altro non sono in molti casi delle vere e proprie autobiografie.
Tuttavia non è possibile definirlo tout court un biografo di se stesso in quanto i fatti di cui parla Roth nei suoi libri, benché ispirati ad episodi reali della sua esistenza, vengono rielaborati con tecnica ed un pathos immaginativo tipico di un’opera di fantasia e quindi il lettore non sa mai quando ciò che sta leggendo sia frutto della realtà o pura creatività. Poliedrico, colto ed ironico, questo scrittore è stato amato ed odiato in più momenti della sua attività.
Le prime composizioni risalgono agli anni universitari tra la Buknell e la Chicago University e riguardano racconti satirici impregnati di psicanalisi, tra questi “Addio Columbus e cinque racconti”, “Lasciarsi andare” e “Quando lei era buona”, quest’ultimo ispirato alla prima moglie Margareth Martinson morta nel 1968 in un incidente stradale. Il primo grande successo di livello internazionale fu “Il lamento di Portnoy” , un romanzo che vale la pena leggere se ci si vuole approcciare alla lettura di Roth. Comicità, autoerotismo, dissacrazione degli schemi familiari in voga negli USA ma anche in Europa sono gli ingredienti principali di questo libro che da molti è stato definito il più realistico ed esemplare resoconto sull’Olocausto ebraico.
Nei suoi quasi 50 anni di attività, Roth ha pubblicato decine di romanzi ed articoli che si possono classificare in due distinti periodi per stile e contenuti. Il primo periodo parte dal Lamento di Portnoy e si conclude con la pubblicazione di “Patrimonio. Una storia vera”, del 1991.
Nel primo periodo lo scrittore sembra un figlio ribelle, disobbediente sempre pronto a denunciare l’ipocrisia delle autorità americane, il rifiuto di una certa tradizione ebraica, la volontà di affermare se stesso. Nei romanzi pubblicati in questo arco temporale si assiste alla ricerca di uno stile o di una sperimentazione di temi narrativi che partendo dall’analisi delle relazioni umane utilizza l’umorismo quale mezzo di comunicazione .
In queste opere è affidato al professor Nathan Zuckerman, alter ego dello scrittore ed io narrante di molti romanzi successivi, il compito di esplorare i confini della irrazionalità della società e mettere in mostra le sue stesse aberrazioni (trilogia di Zuckerman, “Il professore di desiderio”, “La controvita”, “Inganno”, “L’orgia di Praga”, “I fatti. Autobiografia di un romanziere”).
C’è qualcosa di ingenuo in un romanziere come me che parla di mostrarsi “senza travestimenti” e di raffigurare una “vita niente affatto romanzesca”…In un’autobiografia non subordini le idee alla forza dei fatti, bensì costruisci una sequenza di storie per collegare i fatti a un’ipotesi persuasiva che sveli il significato della tua storia” (cit “I fatti” pag 13).
“Patrimonio. Una storia vera” viene pubblicato nel 1991. Dopo circa 20 anni di produzione che ha portato alla ribalta mondiale Philiph Roth facendogli vincere numerosi premi letterari come tra gli altri il National Book Award per svariate edizioni, e la National Medal of Arts (prestigiosissimo riconoscimento negli USA), si assiste ad una nuova trasformazione con il passaggio dalla ribellione del primo periodo ad un momento di intensa riflessione sulla esistenza e sulla politica. Patrimonio è forse il primo vero romanzo autobiografico di Roth in cui si lascia andare nella trascrizione delle memorie familiari e della elaborazione del lutto per la perdita del padre. Egli assume simbolicamente la figura del padre raccontando l’America secondo la visione dei saggi che analizzano il disastro del mondo e tutto il dolore che lo ha distrutto; passa quindi dall’essere figlio ribelle dei suoi racconti a padre saggio e riflessivo.
E’ lui stesso ad affermare una volta che “ciò che noto per prima cosa in un paesaggio non è la flora ma è la fauna” poiché il suo intento è raccontare le persone.
Relativi a questo periodo sono i best seller mondiali “Pastorale Americana” del 1997 grazie al quale vinse il Premio Pulitzer, “Il teatro di Sabbath” del 1995, “La macchia umana” del 2000, “Il complotto contro l’America”(2004), e “Nemesi” del 2010, il suo ultimo romanzo.
Significativa questa riflessione contenuta ne “La macchia umana”, sintesi del pensiero rothiano della seconda fase :
“noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta: impunità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme non c’è altro mezzo per essere qui. Nulla ha a che fare con la disobbedienza, nulla ha a che fare con la grazia, con la salvezza, con la redenzione”
Il suo ritiro definitivo dalla scrittura e dalle pubblicazioni ha destato non poco scalpore ed in una intervista rilasciata al New YorK Times nel 2012 ha dichiarato:”E poi ho deciso di rileggere i miei libri e ho cominciato dall’ultimo. E ho pensato: “Hai fatto tutto bene”. Ma quando sono arrivato a Portnoy avevo perso interesse e non ho letto i primi quattro che ho scritto. Insomma, ho letto tutti questi grandi autori, e poi ho letto i miei libri e ho capito che ormai le buone idee le avevo esaurite, e se me ne fosse venuta un’altra avrei dovuto sgobbarci sopra troppo“.
Ad ottanta anni, questo poliedrico scrittore vive pressoché estraneo alla società, rifugiato nel suo villino nel Connecticut dove però non disdegna qualche visita anche solo per fare una buona chiacchierata su qualche autore inglese. Chissà se un giorno non gli comunicheranno di aver vinto il tanto atteso Premio Nobel.