Grande esponente del liberalismo borghese classico, Max Weber ha sempre difeso, con coerenza scientifica e attraverso il suo impegno civile e politico, i valori della libertà dell’individuo, l’esercizio dei suoi diritti e l’imperativo morale della responsabilità, della dedizione al lavoro come vocazione.
L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo è sicuramente una delle sue opere più famose, forse la più influente ma, al contempo, la più controversa. Un’opera fondamentale per capire la società moderna, i suoi meccanismi e le sue origini, e che ha influito radicalmente sulle scienze sociali del ‘900, grazie al suo originalissimo modo di guardare il rapporto tra economia e cultura, e soprattutto i sistemi di potere, per il grande sociologo tedesco fondati non più sul dominio fisico, ma su un’egemonia di tipo culturale.
Weber sposta la sua attenzione sulla correlazione tra mentalità religiosa e l’agire economico, per esaminare la genesi dello spirito del Capitalismo occidentale, ovvero quella particolare mentalità che sta alla base della natura razionale della vita economica, e il ruolo che ha svolto in questo processo l’etica protestante, in particolar modo l’ascesi mondana del Calvinismo.
Per Weber lo “spirito” del Capitalismo è una particolare forma di razionalismo. Gli aspetti fondamentali del Capitalismo, secondo lui, non sono l’accumulazione del Capitale o la suddivisione del lavoro, temi presenti nell’opera di Marx, né l’innovazione imprenditoriale, ma l’organizzazione con la quale tale “spirito” si concretizza, il suo orientamento culturale di fondo: il perseguimento sistematico del massimo utile, il calcolo monetario dell’azione individuale, i rapporti con gli altri attraverso il principio del credito, e gli impulsi consumistici subordinati all’etica del guadagno e dell’accumulazione.
La razionalità rispetto allo scopo, secondo Weber, ovvero il giudizio di convenienza tra fini e adeguatezza dei mezzi, in contrapposizione a quella razionalità rispetto al valore, che vedeva postulare fini assoluti e non comparabili, è la nuova concezione del mondo, la svolta paradigmatica che ha le sue radici nel pensiero occidentale, e che matura durante la riforma protestante.
La razionalità è possibile solo se l’uomo postula una realtà umana, senza elementi magici o ritualistici, professando in questo modo una fede religiosa che affermi l’assoluta trascendenza del divino. Le tradizioni monoteistiche per eccellenza, quella ebraica e cristiana, stanno alla base di questo sviluppo. Nel Calvinismo, il problema della salvezza dell’anima assume toni angosciosi. Nelle religioni primitive si sperava nell’immediatezza del divino attraverso il rito magico, nel Cattolicesimo i Sacramenti non negavano la speranza nella salvezza, invece nel Calvinismo la trascendenza divina si manifesta nella dottrina della predestinazione: coloro che meritano la grazia sono stati scelti, fin dal principio dei tempi e per l’eternità, da una volontà divina totalmente indifferente alle vicende umane, in quanto tutto è già stato deciso. In poche parole, credere è inutile, la fede non basta. Simile al Grande Altro lacaniano, la razionalità umana, per legittimarsi, si è auto-imposta un Dio assolutamente trascendente, ma l’ineffabilità di questo Dio onnipotente e onnisciente dà il via libera a un arbitrio operoso e produttivo.
Ecco che subentra l’aspetto paradossale, ma funzionale, che si instaura tra una irrazionale angoscia esistenziale e la natura razionale del profitto capitalistico. L’incertezza verso il proprio destino ultramondano induce il fedele a cercare nella propria attività terrena un segno che gli possa far ritrovare quell’antica speranza che la fede gli ha negato.
Questa ricerca quotidiana si manifesta compiutamente nel lavoro, ovvero quella produzione che sta alla base della soggettività individuale, che lubrifica i meccanismi di mercato e facilita l’economia. A differenza del cattolico medievale, per il quale gli bastava semplicemente compiere buone azioni secondo i dettami della fede, il calvinista organizza metodicamente, e quindi razionalmente, la sua vita. Attraverso un complesso ma decisivo meccanismo psicologico, l’etica calvinista impone un atteggiamento ascetico rivolto alle attività mondane, nella quale il successo economico assume i connotati di una benedizione divina. L’accumulazione, il profitto, l’etica del guadagno, la produzione, secondo Weber, hanno in questa frattura – tra predestinazione e merito, angoscia e speranza, preghiera e lavoro – le loro origini.