Leo Buscaglia, professore statunitense di origini italiane, fu il primo docente universitario ad istituire un corso sull’amore, chiamato appunto, Love Class. A dispetto delle prime prese in giro e dei facili commenti perbenisti, il corso ebbe un grande successo alla University of Southern California nel 1970. Da questo esperimento Buscaglia scrisse un libro in cui raccolse le sue lezioni e le sue riflessioni sull’argomento. Infatti, Love: What Life Is All About, mette insieme spunti ed idee intorno ad un tema centrale della vita: l’amore. Nel volume, Buscaglia inserisce però una prefazione che sembra non preannunciare nulla in merito al soggetto del titolo, in quanto espone alcuni temi riguardanti la stereotipizzazione sociale, le convenzioni e l’omologazione dell’insegnamento, di chi lo pratica e di chi lo riceve. Secondo Buscaglia, “il processo educativo dovrebbe aiutare ognuno a scoprire la propria unicità, dovrebbe insegnare a sviluppare questa qualità, e a condividerla con gli altri poiché è il solo motivo per il quale abbiamo qualsiasi cosa”. A dispetto di questa convinzione, il sistema educativo nel quale Buscaglia è incluso, non prevede nulla di tutto ciò. L’omologazione cerebrale ed intellettiva hanno sconfitto la creatività, la celebrazione della propria individualità, dell’intuizione personale. A farla da padrona fra i banchi di scuola e all’università sono soprattutto la stereotipizzazione del tessuto studentesco e l’omologazione delle menti. Questo, secondo Buscaglia, è una delle prime mancanze di amore che possano essere manifestate ad un individuo. L’eliminazione della propria individualità assoggettata ad un sistema educativo che priva gli studenti di estro creativo ed originalità è una primissima forma di sopruso sociale regolamentato e accettato. Secondo Buscaglia, il bambino andrebbe lasciato libero di creare, pensare, mostrare la propria personalità nel contesto scolastico per far sì che la propria individualità creativa possa brillare nella sua vita all’interno della società. Buscaglia, quindi, si scaglia contro il conformismo industrializzato che regna anche e soprattutto a livello educativo dal quale prescinde ed è conseguenza l’omologazione e la stereotipizzazione sociale. “Quanti bambini sono stati educati solo perché qualcuno gli ha assegnato un’etichetta lungo la sua vita scolastica? Stupido, scemo, disturbato. Non ho mai incontrato un bambino stupido. Mai! Mai! Ho solo conosciuto bambini e non ne ho mai incontrato due simili. Le etichette sono fenomeni distanzianti. Ci spingono lontani gli uni dagli altri”. Buscaglia parla di un’esperienza vissuta in prima persona. Anche lui da bambino, figlio di immigrati italiani, venne etichettato come “culturalmente svantaggiato” (all’epoca, ritardato) perché non parlava bene l’inglese, anche se sapeva benissimo l’italiano e parlava anche un po’ di francese e spagnolo. Per questo venne messo in una classe in cui l’insegnamento verteva su nozioni semplicistiche e abbastanza noiose. Questo fenomeno di distanziamento sociale e conoscitivo produce, secondo Buscaglia, un sentimento di scarsa autostima, disamore nei confronti di sé stessi e una misera fiducia nei confronti degli altri. Da qui il difficile coraggio di amare e di credere nell’altro. A questo Buscaglia risponde che “non dobbiamo avere paura di mostrare le proprie emozioni. La cosa più facile del mondo è essere ciò che sei, ciò che senti. Quella più difficile è essere ciò che gli altri vogliono che tu sia, e questa è la situazione in cui viviamo. Sei davvero ciò che sei o sei solo ciò che gli altri ti hanno detto di essere? Sei interessato a scoprire chi sei? Se sì, è il più bel viaggio della tua vita”.