Si racconta che nel Settecento le donne iniziassero a lamentare l’assidua assenza, in casa, dei propri mariti, specie di sera. Che si tratti di una leggenda metropolitana o no, il fatto non sorprenderebbe, poiché il XVIII secolo è stato teatro della fondazione dei caffè. Aldilà dell’immaginario collettivo attuale, cui saremmo spontaneamente portati a ricorrere, occorre pensare ai caffè non solo come luoghi di svago – si giocava a dadi, birilli, biliardo, carte e scacchi – ma anche come luoghi nati da un’esigenza diffusa di incontro, di condivisione comune di idee legate alla politica, alla cultura, all’attualità. Fiorirono in un primo periodo, tra il 1680 e il 1730, a Londra e si diffusero poi negli altri paesi europei.
All’interno dei caffè erano ammessi soltanto uomini, e oltre che giocare e bere si discuteva di affari, letteratura, arte, filosofia. Andava a poco a poco costruendosi quella che sarebbe stata chiamata sfera pubblica, una sorta di luogo metaforico in cui le singole individualità andavano ad incontrarsi e ad ineragire con le altre.
In quanto sede privilegiata per la circolazione di idee, grazie alla letteratura e ai giornali fu possibile assistere ad una considerevole fioritura della socialità.
I confronti nascevano dall’incontro con gli stessi artisti e scrittori del tempo. Si pensi allo storico Caffè Aragno, fondato da Giacomo Aragno nel 1890 a due passi da Palazzo Chigi, a Roma. Il caffè, che portò quel nome fino al 1955, divenne vero e proprio centro di cultura soprattutto nel Novecento, ospitando alcune fra le migliori teste del Paese: Filippo Tommaso Marinetti, Ardengo Soffici, Giuseppe Ungaretti, Emilio Cecchi, Roberto Longhi.
Ma come non ricordare anche il Caffè San Marco a Trieste? Umberto Saba e Italo Svevo ne furono assidui frequentatori.
Nel corso del XVIII secolo si vide una significativa evoluzione dei salotti, la cui abitudine di natura nobiliare fu modificata nel suo carattere essenzialmente nobiliare per dare ospitalità alla nascente classe borghese. Il salotto possedeva quasi il monopolio delle prime edizioni, dalla letteratura alla musica. Per gli scrittori del Settecento diventava impossibile rinunciare all’occasione di presentare i loro ultimi lavori dinanzi a quei colti partecipanti, i quali, attraverso critiche e giudizi, spingevano gli autori a ritornare su quelle opere e a modificarle eventualmente.
È a dir poco svilente pensare ai caffè di oggi, in cui l’unico spettacolo cui si può assistere è una zuffa tra tifoserie calcistiche in competizione. Pare essersi perso del tutto quello spirito di condivisione. L’unica condivisione accettata, oggi, è quella del comando destro di Facebook.