“Non devi mai dire che hai paura, piccola Samia. Mai. Altrimenti le cose di cui hai paura si credono grandi e pensano di poterti vincere”.
Samia Yusuf Omar ha diciassette anni quando partecipa alle Olimpiadi di Pechino nel 2008. Gambe sottili, corporatura esile. Corre con una determinazione sorprendente. Sin da bambina ha corso tra le pallottole di Mogadiscio, contro i terroristi Somali, tra le polverose strade di una città che profuma di un mare a cui non le è permesso accedere. Non sarà sufficiente per le gare olimpiche, arriverà ultima, ma nonostante questo l’obiettivo dei media punterà il suo sguardo sulla ragazzina dalle lunghe gambe esili, che sfida le regole dell’integralismo correndo senza burka.
Samia Yusuf Omar nasce a tre settimane dalla guerra civile in Somalia, la sua famiglia è estremamente povera, il suo migliore amico sarà il suo primo allenatore. Al rientro dalle Olimpiadi la sua vita si fa più complicata, ma Samia non si arrende, ha deciso che correrà, e dopo un evento che le cambierà la vita, decide di fuggire in Europa, a Londra, dove un altro allenatore le ha promesso di prepararla per i giochi olimpici del 2012. Samia corre verso l’opportunità di un’altra vita, come ha fatto sua sorella Hodan prima di lei, come hanno fatto milioni di persone in cerca di salvezza da paesi coinvolti in guerre finanziate anche dall’Occidente. L’epopea infinita e agghiacciante del suo viaggio, attraverso il Sahara fino alla Libia, si interromperà in un barcone diretto in Italia, non sapeva nuotare, non le era permesso andare al mare a Mogadiscio.
La storia di Samia Yusuf Omar è una storia realmente accaduta, ma pochi ricordano il suo nome, perso tra le tante anime affogate in un Mediterraneo che ammazza le speranze. A darle voce, oggi, è Giuseppe Catozzella, che in “Non dirmi che hai paura” (edito Feltrinelli, 2014), riesce a restituire forma concreta alla vita di Samia, ravvivando i colori di un coraggio e una dignità che si erano sbiaditi nella confusione di burocratici assassini apparentemente senza colpa.
Dice Catozzella, in un’intervista, che Hodan (oggi ad Helsinki), si convince ad aiutarlo nel suo lavoro quando lui afferma di sentirsi in colpa per ciò che è accaduto alla sorella. Ecco questo è il punto chiave, la ragione per cui questo libro dovrebbe essere letto. Se ne dovrebbe parlare ovunque, nei bar, tra amici…consigliatelo ai vostri parenti, regalatelo ai vostri figli. Perché Catozzella ha ragione, abbiamo le mani sporche di sangue, e per questo nel suo racconto, con un’immedesimazione che lascia senza fiato, ci ricorda l’umanità che abbiamo dimenticato. Era Italiana la nave che avrebbe dovuto salvare Samia, ma non lo ha fatto per dei patti scellerati firmati dai nostri governi.
Quello che non capita nella nostra realtà immediata non esiste. Non è reale, non ci tocca. La letteratura, quella buona, senza sentimentalismo da propaganda, serve a questo, a rendere palpabile e concreto il non visibile. E Catozzella, con una sensibilità acuta e intensa, apre prospettive nuove a chi lo legge.