C’è una sola via. Penetrare in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s’essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere. Questo anzitutto: domandatevi nell’ora più silenziosa della notte: devo io scrivere?
Ecco il nocciolo della questione, il punto focale, l’imperativo più importante e nel contempo il primo quesito che Rainer Maria Rilke pone nel suo scambio epistolare, agli inizi del ‘900, con l’allora giovane scrittore Kappus.
Le lettere fungono sperò soltanto da cornice per un più generale discorso sulla poesia e sull’arte globalmente intesa.
La prima operazione da compiere è un viaggio introspettivo. Non è detto però che ne sgorghino dei versi. Solo se scopriamo un dovere possiamo comporre.
Un’opera d’arte è buona se è nata da una necessità.
Rilke cerca con inesauribile sforzo la profondità delle cose e invita il suo destinatario – reale e immaginario- a non fermarsi all’estemporaneità, alla superficialità. La grandezza si coglie solo scendendo, e scendendo molto.
Le opere d’arte sono un’indicibile solitudine e nulla le può raggiungere poco quanto la critica. Solo l’amore le può abbracciare e tenere ed esser giusto verso di esse. Date ogni volta ragione a voi stesso e al vostro sentimento di contro a ogni simile interpretazione, trattazione o introduzione; se doveste aver torto, la crescita naturale della vostra intima vita vi condurrà lentamente e col tempo a ravvedervi e ad altri avvisi…Tutto è portare a termine e poi generare.
Noi stessi possiamo e dobbiamo essere i soli veri giudici dell’opera d’arte. Non si tratta infatti di agire oggettivamente, ma di spaziare nel campo della soggettività, del sentimento, delle proprie percezioni, dei particolari stati d’animo, i soli che sono in grado di orientare la nostra valutazione. L’arte impone un rapporto di uno a uno.
Comporre arte è anche fare un esercizio di erotismo. La pratica sessuale e l’esperienza artistica non sono che due facce di un’unica medaglia: quella della brama e della beatitudine. E da qui un accenno all’universo dell’amore, al binomio uomo donna, al fenomeno della sessualità.
Significativo è anche l’accenno a più riprese sul tema della solitudine. Essa non è qualcosa che deve sviare l’artista, ma al contrario qualcosa di cui ognuno ha seriamente bisogno:
Penetrare in se stessi e per ore non incontrare nessuno- questo si deve poter raggiungere.
Ognuno deve coltivare il mondo che ha dentro e amarlo profondamente. In fondo anche l’esperienza dell’amore rimane per lungo tempo pura solitudine.
Anche amare è bene: ché l’amore è difficile. Voler bene da uomo a uomo: questo è forse il più difficile compito che ci sia imposto, l’estremo, l’ultima prova e testimonianza, il lavoro, per cui ogni altro lavoro è solo preparazione. Perciò i giovani, che sono principianti in tutto, non sanno ancora amare: devono imparare. Con tutto l’essere, con tutte le forze, racolte intorno al loro cuore solitario, angosciato, che batte verso l’alto, devono imparare ad amare. Ma il tempo dell’apprendere è sempre un tempo lungo, di clausura, e così amare è, per lungo spazio e ampio fino entro il cuore della vita, solitudine, più intensa e approfondita solitudine per colui che ama. Amare anzitutto non vuol dire schiudersi, donare e unirsi con un altro (che sarebbe infatti l’unione di un elemento indistinto, immaturo, non ancora non ancora libero?), amare è un’augusta occasione per il singolo di maturare, di diventare in sé qualche cosa, diventare mondo, un mondo per sé in grazia d’un altro, è una grande immodesta istanza che gli vien posta, qualcosa che lo elegge, e lo chiama a un’ampia distesa. Solo in questo senso, quale comandamento di lavorare a sé (<<di origliare e martellare giorno e notte>>) giovani creature potrebbero usare l’amore, che vien loro dato. Espandersi e offrire ogni sorta di comunicazione non è per esse (che ancora a lungo,a lungo devono risparmiare e accumulare); è il coronamento, è forse quello per cui vite di uomini oggi non bastano ancora.
Queste lettere diventano subito massime di vita. In sostanza la lettura di questo epistolario non ci fa comprendere solo il mondo interiore dell’artista, ma ci permette di fare una riflessione profonda sull’umanità nella sua essenza, nella sua forza, nelle sue manifestazioni più autentiche. Un’occasione valida per cominciare a intraprendere il nostro viaggio interiore, che ci induce a interrogare la nostra intimità, che ci consente di scuoterla dall’interno così da capire meglio le nostre necessità, quello che dobbiamo essere.