“Perché dunque i dissidenti fuggono dalla Russia? …se diventi nemico del potere politico, non ti lasciano più vivere…ci si è resi conto che l’unico modo per evitare un simile epilogo era fuggire e cercare asilo politico. Da questo punto di vista Kiev è il posto ideale. Primo, ci si può arrivare senza visto… Secondo, lì c’è ancora libertà di pensiero.”
Come si smonta una dittatura? Svelando le bugie nascoste sotto il tappeto, smantellando pezzo dopo pezzo il muro di inganni che costruisce false verità, riportando passo per passo gli abusi ai danni della società e dell’identità umana che viene giornalmente calpestata come carta straccia. Questo è stato l’obiettivo di Anna Politkovskaja, giornalista assassinata il 7 Ottobre 2006 nell’ascensore del suo palazzo. Al suo funerale non c’erano autorità, la fine tragica di una vita dedicata principalmente alla registrazione di fatti accaduti in Cecenia, Daghestan e Inguscezia, viene completamente ignorata dalle autorità Russe e in gran parte anche da quelle Occidentali.
Ma chi era Anna Politkovskaja, e perché i suoi reportages hanno creato tanto disordine e preoccupazione tra le autorità russe? Per comprenderlo sarebbe sufficiente leggere Proibito parlare (edito Mondadori, 2007), una raccolta di articoli divisa in quattro sezioni, dalla Cecenia a Dubrovka, passando per Beslan, e terminando con alcuni brevi articoli che riassumono la situazione della Russia sotto il governo Putin, aggiornato al 2006. Articoli, reportage, o registrazioni di vite spezzate senza un apparente motivo, se non quello di appartenere ad una razza diversa. Era un giorno di festa del 2004, ad esempio, quando Ibragim Chašagul’gov, insieme ad altri studenti universitari e delle scuole superiori, perse la vita per un bombardamento sulle rive di un fiume dove si trovava con i suoi compagni. I bombardamenti, sganciati da uno stormo di aerei ed elicotteri nella così detta zona “anti-terrorismo”, sono all’ordine del giorno in quella primavera. Ma tra i difensori della patria, nessuno si sforza di spiegare ai genitori dei ragazzi uccisi come si possa morire così, in un semplice giorno di festa.
La campagna anti-Cecenia è al centro degli articoli di Politkovskaja, una guerra che non fa sconti, in cui le deportazioni e gli omicidi di massa diventano la procedura standard per eliminare il nemico. Cinquantacinque persone uccise, civili e anziani, il 5 Febbraio 2000, in un’esecuzione agghiacciante ad opera del ministero degli Affari Interni e della Difesa. Nel 2004 i funzionari di Putin promettono di trasferire tutti i campi profughi nella sola Cecenia, e coloro che non si trasferiranno vedranno applicato il distacco di luce, acqua e gas, la privazione dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione.
Nell’agosto 2005 Chodorkovskij indice uno sciopero della fame (a cui seguirà quello di Anna Politkovskaja). Chodorkovskij è stato proprietario della Yukos, grande compagnia petrolifera, condannato, dopo un processo farsa, a nove anni di detenzione. La Yukos viene messa all’asta e rilevata da una società fantasma “dietro cui ci sarebbe la Gazprom, la compagnia petrolifera di Stato”. La concorrenza, economica e intellettuale, viene eliminata alla radice. Michail Trepaškin ne è unesempio. Ex ufficiale del KGB-FSB, si ribella ai metodi dell’organizzazione, le notizie aggiornate al 2006 lo davano ancora recluso in carcere.
Anna Politkovskaja scrive “il mondo teme una proliferazione nucleare- io invece temo l’odio”, l’odio è incontrollabile, rende il futuro incerto. I ceceni, negli anni in cui Anna Politkovskaja ha operato, sono diventati i nemici della patria, un carico d’odio pesantissimo che i russi hanno portato sulle spalle, ma solo un “pazzo potrebbe invidiare i ceceni” che vivono in Russia, scrive Anna. Le sue pagine sono la testimonianza del suo impegno giornalistico, ma soprattutto un documento preciso delle verità che nessuno ha raccontato, o che in pochi hanno potuto raccontare.
I sospetti sulla morte di Anna Politkovskaja non sono ancora stati sepolti. Certamente, leggendo il ritmo delle accuse rivolte alla violenza inaudita, alla totale indifferenza per i diritti umani, che la giornalista rivolge al governo Putin, il lettore sarà capace di farsi un’idea sull’accaduto.