È il tuo compleanno.
Saluti, baci e abbracci.
Un tempo li avresti aspettati, pregustati e infine accolti con gioia.
Poi è arrivata la moderata soddisfazione, infine il fastidio.
Gli anni cominciano a essere tanti, troppi.
Vedi tuo figlio che comincia a indossare i tuoi maglioni, le tue scarpe, che ha iniziato a guardarti dall’alto in basso, e non solo in senso metaforico, e un po’, un po’ tanto, t’incazzi.
Fino a ieri, ancora ti azzardavi a fare la voce grossa, a spedirlo a calci a scuola, e ora, ora, al minimo rimprovero ti soffia contro tutto il suo disappunto, gonfia i muscoli e inalbera un cipiglio feroce.
Che oggi, però, sembra aver dismesso.
Per salvare le apparenze, perché la madre l’ha corrotto, preferisci non saperlo.
Decidi che quel bacio che ti schiocca sulla guancia è sincero e amorevole.
Oggi hai una parte in commedia.
Fingi di essere allegro.
Metti su la nota più alta quando rispondi a tua madre che alle otto e trenta del mattino, inesorabile come un orologio svizzero ti chiama per farti gli auguri e ti chiede come passerai la giornata.
E come vuoi che la passi. Lavoro noioso, serata pure.
Ma non glielo dici, mormori qualcosa al microfono, tanto sai che lei le risposte non le ascolta. Non che sia sorda, semplicemente la sceneggiatura non lo prevede, non lo ha mai previsto, e tu lo sai, ma ormai hai deciso di sfruttare la cosa a tuo favore.
E a te tutto bene?
Copione per copione, reciti anche tu, tanto tra due minuti due, tutto sarà concluso.
Come vuoi che stia, come il solito, e saluta.
E tu rimani lì con la cornetta in mano e pensi che c’è riuscita ancora una volta, a farti montare il senso di colpa.
Ti guardi intorno e senti di aver bisogno di una gratificazione.
Ma il regalo non c’è, non è il momento.
La recita vuole la consegna a cena.
Come sempre ti viene l’orticaria di fronte alle tradizioni.
Hai voglia di urlare, ma lasci fare.
Col tempo hai imparato che a fare l’incendiario forse si conquista la gloria ma si fatica assai.
E non hai più il fisico.
Non reggeresti il muso di tua moglie che ha preparato il compitino con tanta dedizione e affetto e allora inforchi la porta e ammicchi.
A stasera, amore.
Parola grossa.
Menti, sapendo di farlo, eppure ci metti tutta la convinzione che sai.
Fai l’equilibrista da anni ormai e hai imparato a dondolare sul filo.
Destro, sinistro un passo dietro l’altro, il segreto sta nel non guardare il vuoto che hai intorno.
Lo pensi abitato e vai avanti.
Ci pensi mentre percorri la solita strada per andare al lavoro. Stesso marciapiede, stessi negozi, stessi mendicanti, e sai che non potrebbero essere diversi solo perché oggi è il tuo compleanno, ma un po’ male ci rimani lo stesso.
Rigurgiti infantili che mandi giù a fatica mentre rispondi alla solita zia che – chissà perché – ti ha fatto gli auguri anche per la festa del papà e che nemmeno ami tanto.
Una più una meno, la giornata deve passare.
Lenta, come una condanna.
Perché in ufficio c’è poco da fare.
Un paio di francobolli da attaccare, qualche telefonata inutile, più di una pisciata perché hai la prostata grossa come un cocomero e nemmeno la tieni più.
Il capo che ti chiama perché – non si sa bene come – è venuto a sapere della tua nascita, come la chiama lui, e ti assicura che giovedì passera per farsi offrire il caffè.
È d’uopo, gli rispondi forbito, e lui se la ride.
Forse è una persona di spirito, forse è soltanto un cretino, ancora non l’hai capito.
È grave, pensi, quand’eri più giovane avresti risolto il dilemma con una sciabolata. Ora no, la cosa non ti fa né caldo né freddo.
Perdi colpi amico mio, ti dici, e, tra un sospiro e l’altro, fissi l’orologio sperando che si dia una mossa.
Quando torni a casa, è buio. Vorresti tanto confonderti tra le tue ombre ma c’è la cena a sorpresa e il regalino che quasi ti cade sulla pizza rucola e parmigiano che ti sei voluto concedere, anche se sai che ti fa acido.
L’anello di acciaio è una meraviglia, cinguetta tua moglie, e non hai cuore di smentirla, un giorno forse questa battaglia la combatterai, ma non ora, non oggi, e allora ridi come un cretino e fai sì con la testa, che ti è piaciuto e pure tanto, ma ora è tempo di andare a letto, che domani è un altro giorno.
Tanti agguri, detto proprio così, con due gi e senza u, come farebbe una bambina, è l’estremo viatico per il sonno che tua moglie ti consegna. Vorrebbe essere tenera e non lo è, è soltanto un po’ idiota sulla bocca di una cinquantenne, ma ribatti con un bacino, piccolino piccolino, tanto per rimanere in tema, ti volti e ringrazi Dio che sia finita.