Sono lunghi giri di parole quelli che Ugo Cornia utilizza per arrivare al succo del discorso nel suo ultimo libro Il professionale (edito da Feltrinelli nel 2012). Lunghi sono anche i suoi periodi, a volte sconclusionati e ripetitivi. Il tragitto percorso dall’autore per arrivare a raccontarci le sue avventure scolastiche è faticoso e tortuoso, come d’altronde il suo rapporto con il sistema (un bisogno, quello di raccontare la scuola, sentito anche da Daniel Pennac nel suo Diario di scuola). Insegnate modenese di Italiano, si trova un bel giorno a maledire il suo lavoro e su due piedi decide di licenziarsi senza troppe riflessioni. Vive mesi di “assoluta felicità del licenziarsi” senza che alcuna preoccupazione di tipo economico getti un’ombra sul suo dolce oziare. Non più cento chilometri al giorno per fare casa-scuola e scuola-casa, non più sveglia all’alba e soprattutto fine di tutti i fastidi del vivere quotidiano. Non c’è quasi l’ombra di rimpianto o insoddisfazione a rabbuiare le giornate di Ugo, ma un giorno le finanze terminano e, disperato, si mette alla ricerca di un lavoro. Dove approderà? Naturalmente ancora alla scuola. Non una scuola qualsiasi, per ironia della sorte sarà proprio l’istituto adiacente a quello da cui si era licenziato ad ospitarlo. Stesso tragitto mattutino, quindi, solo un chilometro guadagnato al giorno (che sono ben dieci euro all’anno di benzina risparmiata, ci viene fatto notare). La routine scolastica non porta nuovamente Ugo sul baratro della disperazione, al contrario vive un periodo di tranquillità come insegnante di sostegno. Ma le graduatorie non perdonano e paga caro l’essersi licenziato di punto in bianco. Il professore è nominato per un altro incarico, una cattedra al professionale, un IPSIA distante venti chilometri da casa.
Quindi me n’ero andato da un posto tutto scoglionato e dopo soltanto otto mesi ritornavo nello stesso posto. E poi venivo riassorbito dalle più svariate avventure scolastiche.
Solo a questo punto, dopo una lunga premessa, il professore inizia a raccontare dei suoi alunni, la complicità che li lega e le situazioni che si creano in una quinta professionale composta da soli ragazzi. Dietro la placidezza dell’autore si nasconde una tiepida critica al sistema scolastico, atrofizzante e maniacale, ma dal quale il professore non si stacca per pigrizia. Una storia d’amore tormentata con la scuola, intrattenuta fra supplenze e cambi d’ordine. Nella sua prosa a tratti sgrammaticata e trascinante, porta il lettore nel suo flusso di coscienza. Le avventure scolastiche dei suoi giovani alunni non sono poi molto lontane dalle sue bravate d’adolescente e per questo si fa spesso complice dei ragazzi. Si diverte ad osservare i numeri da circo dei più scalmanati, quasi provando una piacevole vendetta nella confusione.
Nella sua seconda ondata di attività d’insegnante, Cornia viene assorbito dal suo lavoro e dagli alunni, ritrovando, anche se non ce lo confessa direttamente, il piacere di fare quel lavoro un po’ maledetto che ha iniziato per caso. Forse è proprio un atteggiamento più sinceramente interessato e meno educativo ad avvicinare quei ragazzi dalle briglie sciolte che tanto fanno disperare gli insegnanti. La sua permanenza al professionale finisce in una ribellione d’estate, cielo terso e rondoni irrequieti. Infine, anche in questa storia, è il mostro del precariato a imporre le sue regole e a governare gli stati d’animo. Lascerà ancora una volta la scuola, il professore, peccando forse di irresponsabilità, ma forse tornando ancora sui suoi passi.