Arrivati in una nuova città tutto ci sembra nuovo. Le case, le piazze, le chiese, sebbene abbiano le stesse funzioni nel nostro paese natale, in un altro luogo assumono valenze e caratteristiche diverse. Non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico. Camminando per una strada mai percorsa, o passeggiando in un parco sconosciuto, ci chiediamo cosa possa esserci oltre quella curva o dopo quella siepe. Tutto è scoperta, meraviglia, ignoto magico e misterioso.
In un luogo a noi familiare, invece, la curiosità e il desiderio di scoperta non ci assalgono quasi mai perché tutto intorno a noi si ripete con lo stesso ritmo e allo stesso modo da anni. O quasi. Se ci fermassimo a guardare meglio, ad osservare davvero la vita che ci corre di fianco, scopriremmo che forse lo scontato e il ripetitivo quasi mai fanno parte dell’esistenza umana.
Lo scrupolo nell’osservazione cambia il nostro sguardo soprattutto se ci si sofferma a guardare uno spettacolo a noi noto. Alexandra Horowitz, nel suo libro On Looking: Eleven Walks with Expert Eyes (Osservare: undici passeggiate con occhi esperti), ripercorre con undici paia di occhi diversi il giro dell’isolato in cui abita. Ogni volta, attraverso gli occhi presi in prestito ad un artista, un geologo, un cane e molti altri, scopre nuove prospettive e affascinanti rivelazioni sul luogo che crede di conoscere fin troppo bene.
Lo sguardo di ognuno non si posa mai su un oggetto, una persona, un avvenimento in maniera uguale. Al contrario, l’occhio osserva con un interesse differente ciò che gli capita intorno. Le realtà che attraversano le passeggiate sono vissute e descritte in virtù della direzione degli occhi e dei sensi. Così, quando camminiamo in un luogo a noi conosciuto, la nostra capacità visiva si sofferma su qualcosa che a molti sfugge o che altri non contemplano.
“Focalizzando la tua attenzione su queste parole sapientemente disposte fra spazi bianchi, stai ignorando l’inimmaginabile numero di informazioni che continua a bombardare i tuoi sensi: le luci fluorescenti, il rumore nella camera, lo spazio che la tua sedia comprime sulle tue gambe e la schiena, la lingua che sbatte sul palato”. Allo stesso modo, dirigendo la nostra attenzione su un solo e ripetitivo aspetto della vita che ci passa accanto in un luogo a noi familiare, perdiamo la varietà e la molteplicità e la rivestiamo di banalità. Questo sforzo a cui sottoponiamo la nostra attenzione, dice la Horowitz, “viene celebrato con il nome di concentrazione”, che, senza chiedere scusa, ci fa dimenticare tutto il resto.
È così per tutti. “Vediamo ma non guardiamo: usiamo i nostri occhi, ma il nostro sguardo è furtivo, frivolo nel considerare il suo oggetto. Vediamo i segni ma non i loro significati. Non siamo ciechi, ma accecati”.
Uscendo di casa, bisognerebbe allora tralasciare quello che ci è stato sempre detto, di fare attenzione, di concentrarsi, di guardare bene. Si dovrebbe lasciare libero lo sguardo, osservare le cose e le persone con occhi da turista e poterle così guardare per la prima volta.