L’autobiografia è un genere molto pericoloso. Parlare di sé risulta sempre noiosamente pomposo ed irritante, si usano toni troppo seri, autoritari. Le persone raramente sono capaci di guardare alla propria vita con ironia, con obiettiva lucidità. Ma questo non è il caso di Gaia Servadio, scrittrice, giornalista, pittrice, autrice di una controversa (almeno per gli editori italiani che ne volevano smussare i toni), biografia di Luchino Visconti.
Perché Gaia Servadio vive-con intenzione uso il presente- sul filo sottilissimo tra follia e rivoluzione, non la rivoluzione appesantita di chi dà sfogo ad una rabbia soffocante, ma quel soffio leggero che sconvolge l’ordinario e rimescola continuamente le carte in gioco. Così “Raccogliamo le Vele” (edito Feltrinelli, 2014), non è solo una lettura piacevole-troppo riduttivo come termine- ma un viaggio rigenerante nell’avventurosa esistenza di una donna di un’intelligenza brillante ed ironica. Un altalenante avvicendarsi di conoscenze, partenze, ricordi d’infanzia. Cominciando dalla citazione/dedica a Stalingrado, città da cui è partito il cambio di direzione della Seconda Guerra Mondiale; per poi volgere lo sguardo indietro, alla fuga dalle leggi razziali, ai giochi con la sorella Pucci, alla complicità tra padre e figlia. E poi di nuovo, avanti, saltando alla giovinezza: la severa educazione cristiana che formava le menti della futura Democrazia Cristiana, la delusione davanti al fallimento delle idee partigiane. Con il rinascere dell’Italia, Gaia scopre l’amore per la pittura e per il Medio Oriente, grazie a quel primo viaggio a Tangeri.
E nello sfondo di una storia italiana, gli incontri, che più di tutti hanno determinato il carattere ribelle di Servadio. Il viaggio nell’amata/odiata Inghilterra, l’impegno di giornalista, l’incontro con il primo marito, lo storico dell’arte Willy Mostyn-Owen; e ancora Willy Toscanini, Philip Roth, Maria Callas, Vita Sackville-West. A Parma, città che le offre l’accesso ad una cultura ricca ed inebriante conosce Attilio Bertolucci, e sempre con lo stesso humor leggero ed incisivo descrive la relazione con Gianni Agnelli, con il quale si intratteneva fin quando le “tante campanelle” non ricordavano l’arrivo della moglie.
Dice Servadio che l’amore è una seccatura, ma a leggere le pagine della sua esistenza si direbbe che l’amore, quello per la vita-con la A maiuscola- ha meravigliosamente riempito la sua esistenza un po’ folle. È con uno sguardo intellettualmente onesto che disegna i tratti del mondo che l’ha circondata, attraverso pennellate accese e variegate, di un linguaggio intimo, giocoso, in cui si rispecchia la sfrontata giovinezza di una donna che sembra vivere al di sopra delle convenzioni e del tempo. Negli occhi limpidi, cristallini, di Gaia Servadio si legge l’eco della sua libertà intellettuale e della ferma determinazione nel non venire a patti con il convenzionale, con la normale mediocrità che distrugge la capacità di guardare in faccia le proprie scelte, senza corrompere il proprio io. Un viaggio entusiasmante, che non poteva non restare inascoltato.