Quando qualcuno deve prendere una decisione, il mondo si ferma. E’ lì che aspetta muto, col fiato sospeso. Lui lo sa che cambierà, il mondo. In ogni caso. Sarà pure una variazione impercettibile, ma non sarà più lo stesso di prima. Ed è per questo che incrocia le dita, il mondo. Penso sia così. Credo che il rapporto fra decisione e destino, tra la volontà e il futuro, sia uno dei temi più affascinanti che la letteratura abbia mai indagato. Alessandro Baricco, nel suo primo romanzo, Castelli di rabbia, fa pronunciare a un suo personaggio questa frase:
“…Sa, è molto bella l’immagine di un proiettile in corsa: è la metafora esatta del destino. Il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto se finirà a spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque.”
Se c’è un romanzo che, più di ogni altro, reca in sé l’impronta pesante di questo destino è senza dubbio Moby Dick di Herman Melville. In ogni sua pagina, in ogni sua riga traspare l’ombra nefasta della tragedia. Il capitano Achab, fatta la sua scelta, quella di distruggere la balena che lo ha dilaniato inseguendola per tutti i mari, non tornerà più indietro e, proprio a partire da questa decisione, si consumerà a poco a poco il disastro.
Ma il dramma già scritto appare anche in un altro famosissimo romanzo. E già nel titolo. Si tratta di Cronaca di una morte annunciata di Gabriel Garcìa Marquez. La narrazione prende il via dal fatto già compiuto, l’uccisione di Santiago Nasar, come se questo fosse il punto fermo che non si sarebbe mai potuto evitare. In paese tutti sanno che Santiago morirà, tranne lui. La felice intuizione di Marquez consegna al lettore un racconto tanto assurdo quanto credibile, nel quale quelle che chiamiamo coincidenze non sono altro che volontà divine.
Murakami Haruki, sembra invece non accogliere questo fatalismo e anzi in Nel segno della pecora fa un ulteriore passo indietro:
“Si può dire che noi esseri umani vaghiamo senza meta sul continente della casualità, come i semi alati di qualche specie vegetale portati da una capricciosa brezza primaverile. Tuttavia si può anche sostenere che la casualità non esiste. Ciò che è accaduto è accaduto, senza se e senza ma, e ciò che è di là da venire, è di là da venire. Insomma, la nostra fuggevole esistenza è stretta fra quanto abbiamo alle spalle e il nulla che abbiamo davanti, e non c’è posto né per il caso né per l’eventualità. In pratica però, fra le due concezioni non c’è una grande differenza. E’ come chiamare lo stesso piatto con due nomi diversi.”