Una cosa che accomuna tutti noi esseri umani, che va oltre la razza, la religione, la personalità, è la paura, anzi il terrore della malattia. Essere malati oggi, vuol dire essere esclusi, etichettati, ridotti a “uno dei tanti”, ad essere considerato essenzialmente come “il malato”.
Affrontare la malattia con un sorriso, con un “ce la posso fare”, è difficile, talvolta impossibile. Magari avremmo bisogno di uno stimolo, di sentire cose diverse. Come? Un modo potrebbe essere leggere i romanzi di Albert Espinosa, ricchi di positività, allegria e (dure) verità.
Espinosa nasce a Barcellona il 5 Novembre 1973, ed è uno scrittore, regista e sceneggiatore, spagnolo “purosangue”.
La sua storia non è una bella favola con il lieto fine. È una storia di sofferenza, malattia, il cui “e vissero felici e contenti”, viene scritto giorno per giorno, quotidianamente, dall’immenso amore per la vita dello scrittore.
Espinosa a 13 anni si ammala: gli viene diagnosticato un osteosarcoma. Arriva ai 18 anni senza una gamba, un polmone e parte del fegato. Passa 10 anni in ospedale, tra una degenza e l’altra, entra ad adolescente ed esce da adulto. Da questa esperienza trae un’opera cinematografica, nonché il libro “Il mondo giallo. Se credi nei tuoi sogni essi si creeranno”, fiction andata in onda su Rai Uno in questi mesi con il titolo di “Braccialetti Rossi”.
L’autore racconta la sua lunga esperienza in ospedale, come una delle più belle della sua vita. Detto così potrebbe sembrare paradossale. In effetti l’ospedale è il luogo dell’angoscia per eccellenza, il luogo dove tutto finisce, dove niente va come dovrebbe andare. I dottori ci sembrano mostri, gli infermieri ostili, gli altri malati sono da compatire. Espinosa invece, oltre ad aver incontrato lungo il suo percorso persone piene di entusiasmo per il loro lavoro e disposte all’ascolto, cerca di fare tesoro anche di quelle ostilità, di quegli avvenimenti cattivi, che rendevano la sua degenza in ospedale faticosa. Racconta di infermieri sempre pronti a dare un consiglio, delle perle di saggezza dei medici, del conforto e l’amicizia degli altri malati.
Almeno una volta nella vita ci è capitato di essere malati o di avere dei nostri cari ricoverati in ospedale. La maggior parte delle volte, il malato è privato della sua dignità, ridotto al numero di una stanza, “declassato” da persona a malato. L’esperienza di Espinosa fa riflettere sull’importanza dell’accoglienza, su quanto sia fondamentale l’accettazione della malattia e la consapevolezza, in alcuni casi di potercela fare, in altri di essere in grado di andarsene con serenità.
A 19 anni, ancora nel bel mezzo della sua malattia, Espinosa inizia a studiare Ingegneria industriale all’Università della Catalogna ed entra a far parte di una compagnia teatrale amatoriale chiamata “Enginyteatre”.
Attualmente Espinosa continua a scrivere romanzi, tra cui “Bussole in cerca di sorrisi perduti”, “Tutto quello che avremmo potuto essere io e te se non fossimo stati io e te”, “Se mi chiami mollo tutto…però chiamami”. In tutti troviamo i suoi tratti caratteristici: storie anticonvenzionali e fuori dagli schemi, scrittura semplice e spiritosa, racconti alla portata di tutti, con un significato profondo e impregnato di amore per la vita.