Come ripeto sempre, per chi leggesse queste noterelle per la prima volta, le mie non sono recensioni. Sono spigolature, impressioni da lettrice, suggestioni. Stavolta, nientemeno, la mia attenzione è stata soprattutto (ma non soltanto) attirata da alcune cose che l’autrice del romanzo “La continentale”, Silvana La Spina, scrive nella “nota” finale del libro. Che non è una nota di ringraziamenti, perché Silvana La Spina finora – ci spiega – non aveva mai accompaganto le sue opere con qualche riga conclusiva di ringraziamento o di commento. E ci racconta perché (quando avrebbe voluto farlo le si obiettava che non lo faceva nessuno, mentre adesso non le va di farlo perché lo fanno tutti), ma non è questa la cosa che mi ha colpito. Ho trovato molto interessanti alcune considerazioni che l’autrice fa sulla menzogna, sull’invenzione, insomma sulla scrittura.
A me è capitato, in questo campo, di tutto. Qualcuno ha dato per scontato che le cose che scrivevo fossero autobiografiche, di solito sbagliando, perché la vita vera non si prende mai di peso e si sbatte nelle pagine scritte, forse nemmeno quando si scrivono diari. Oppure mi è stato detto che di chi scrive non ci si può fidare, perché chi scrive manipola e trasfigura la realtà, inventa per abitudine e questo finirebbe per farlo sempre, in ogni circostanza. Che dire? Che in genere questo tipo di diagnosi l’ho sentita fare a chi non è proprio un esempio di sincerità e trasparenza, perché “ciascun dal proprio cor l’altrui misura”.
Siccome questa vecchia questione della verità e dell’invenzione mi ha sempre affascinato, la nota di Silvana La Spina mi ha colpito. Perché l’autrice dichiara, con apparente contraddizione, che non esistono libri autobiografici, mentre poi afferma che si tratta di un libro molto personale: ‹‹Non si parla d’altro se non di mia madre, è lei la continentale, con tutto quello che ne consegue nella mia vita e persino nella vita degli altri. Mia madre è stata una personalità fortissima e non so se ho reso appieno le sue qualità di personaggio››. Ecco, io credo che me ne sarei accorta comunque, che avrei pensato, della continentale protagonista del romanzo, che si tratta della madre dell’autrice, o almeno di una donna (parente o no, poco conta) che lei ha conosciuto bene. Questo perché la verità ha sempre, secondo me, un suo inconfondibile sapore. Non che non ci possano sembrare vivi anche personaggi di pura invenzione, ma qualcosa di indefinibile rivela che un personaggioè stato plasmato su una persona conosciuta davvero.
Naturalmente il romanzo di Silvana La Spina non è interessante solo per questa nota finale sulla menzogna e sull’invenzione, in cui ci dice, a proposito della sua convinzione che ‹‹non esistono libri autobiografici, così come non esistono romanzi di genere o romanzi storici››, che ciò che esiste è ‹‹solo il romanzo, l’invenzione, o se volete la menzogna da cui tutto nasce e senza cui nemmeno la razza umana sarebbe quella che è. Siamo una specie di mentitori, ammettiamolo, e in quanto tali tutti romanzieri in pectore. Il problema è semmai se la nostra menzogna riesce ad avere talmente vita da essere una cratura nuova. Un nuovo essere. Che cammina e si muove sulle proprie gambe. Se la “bestia” – come mi piace chiamare il romanzo – insomma vive e ruggisce››. Io l’ho trovato interessante anche per la ricostruzione di una certa Italia, di un certo modo datato, che io ricordo bene, in cui i meridionali vedevano i settentrionali, quelli “del Continente”, e viceversa. Stereotipi di cui ancora qualche traccia rimane nell’eterna contrapposizione che fa dire, talvolta, “loro sono, fanno, dicono, pensano…”, dove “loro” sono tutti coloro che vivono al Sud o al Nord.