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“Foglie d’erba” di Walt Whitman: l’Epos della Modernità.

L’amore si fa religione, nelle parole di Walt Whitman. Diceva di amare tutti, senza alcuna eccezione. Gli esseri umani, gli animali, l’America, la natura, le creazioni degli uomini, le idee, la Democrazia. È una donna, l’anima profonda di Walt Whitman. Le sue parole trasudano, prima di tutto, l’autentico e genuino amore materno.

Foglie d’erba, leggendario capolavoro della letteratura americana, è a tutti gli effetti il primo poema moderno, il primo epos della modernità. Perché? Perché, in qualche modo, è il primo poema scritto da una “donna”. In perfetta antitesi all’epica antica (maschile, violenta, conflittuale, guerriera), Foglie d’erba non respinge nulla, lascia che tutto scorra, cresca e respiri in un’armoniosa convivenza.

Come il mare, in quest’opera non vivono contraddizioni. Il movimento è la sua regola, diversi moti in un mutevole ritmo: il movimento della poesia verso la prosa, della prosa verso la poesia. Il verso si distende, a volte sembra quasi di leggere un diario o uno zibaldone. Un ricordo, un’annotazione, un’immagine languida, tutto appare denso e fuggevole quasi come se fosse un dipinto.

Foglie d’erba è diviso in due grandi sezioni: Rulli di tamburi e In memoria del presidente Lincoln. Soprattutto nella seconda, i toni diventano drammatici e commoventi. Sui campi di guerra, si accostò a una quantità sterminata di giovani soldati amputati, che di lì a poso sarebbero morti per infezione. I versi sono lapidari e struggenti, di una semplicità quasi terrificante. Commovente la delicatezza con cui stringe la mano dei ragazzi. Commovente mentre scrive lettere d’amore alle mogli e alle madri dei soldati morti. Nessun altro poeta al mondo aveva compiuto questo gesto, e nessuno, prima di lui, ha scritto ciò che gli occhi avevano visto e pianto. Ma quelle notti di guerra e paura, definite da lui stesso le notti dell’anima, erano momenti come altri che anticipavano il mattino. Quelle notti, per Whitman, non erano la fine, bensì il principio di una nuova vita. Di una rinascita. Solo nella grande Guerra Civile, solo da quella terribile esperienza si sarebbe potuta forgiare l’Unione, l’America di Whitman.

Al pari di Majakovskij per la rivoluzione russa, Whitman è il poeta della rivoluzione americana. Lungi dall’avere un senso guerrafondaio, in Whitman la rivoluzione sta a significare soprattutto una dimensione primordiale dell’uomo, il rovesciamento della condizione stessa d’essere mortali sulla terra. L’uomo è un eterno pastore, congiungimento di forza e delicatezza, che non deve lasciarsi deviare dalle apparenze, o farsi intimidire dalla morte, essendo sua congenita sorella. La morte gotica per Whitman è quella divina bellezza esibita nell’opera perfetta della Natura, il corpo umano, ciò che assume sembianza col decadimento del nostro volto, che sta lì a indicarci i segni del tempo trascorso. La rivoluzione è immanente ad ogni essere umano, una resurrezione della carne.

Poeta della rivoluzione, quindi poeta politico e della giustizia sociale, ma in Foglie d’erba l’idea di Democrazia è principalmente una visione d’amore, erotica e sessuale. Quella di Whitman, già un secolo avanti rispetto ai suoi contemporanei, è un politica dei corpi e degli opposti. La sua giustizia è l’idea stessa della sessualità. I colori, ovviamente, sono il bianco e il nero, dualismo di forte risonanza sociale: da una parte la bianchezza angelica, pura e vergine; dall’altra il tema dell’ombra, della nerezza e della “devianza”. La paura della negritudine è la mistificazione della paura del diverso: neri, malati, omosessuali e donne. La Democrazia è un ibrido non solo di culture, ma di corpi e sessi, un’unione viscerale e androgina. In questo consiste la politica di Whitman, la sua visionaria terra dell’Unione mistica delle anime, e dell’unione sensuale e consolatoria dei corpi. È il desiderio a trascinarci. Accettiamo la Bellezza della Vita.

La Bellezza di un filo d’erba, ad esempio. Anche nel più insignificante essere vivente è racchiusa un’imperitura e primordiale forza vitale che non ha fine.