Ho commesso il peggiore dei peccati
che possa commettere un uomo.
Non sono stato felice.
Che i ghiacciai della dimenticanza
possano travolgermi, disperdermi senza pietà.
I miei mi generarono per il gioco
arrischiato e stupendo della vita,
per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.
Li defraudai. Non fui felice. Compiuta
non fu la loro giovane volontà. La mia mente
si applicò alle simmetriche ostinatezze
dell’arte, che intesse nullerie.
Mi trasmisero valore. Non fui valoroso.
Non mi abbandona. Mi sta sempre a fianco
l’ombra d’esser stato un disgraziato.
Jorge Luis Borges
Una morsa al cuore. Un soffocamento dell’anima. Come altro potremmo definire il rimorso?
Jorges Luis Borges, poeta argentino del secolo appena trascorso, scrittore dalla vena fantastica, sa usare parole perfette per definire questo stato d’animo così quotidiano, così presente nella vita di ciascuno, che spesso tinge con inchiostro indelebile le pagine della nostra esistenza.
Nasciamo per essere felici, questo è il nostro obiettivo; eppure spesso manchiamo la meta e quando perdiamo il nostro momento di gioia, subentra il rimorso, la gola si stringe e la nostra vita sembra persa.
Il protagonista di questi versi si sente quasi un empio, un ingrato. Si sente come se stesse sprecando il dono meraviglioso della vita, vita che non è riuscito a cogliere nella sua positività, nella sua essenza.
Si augura il peggio per se stesso, è intransigente.
Probabilmente questo componimento è, a una prima lettura, troppo duro. A ben guardare si potrebbe intendere come un inno alla vita, un invito a non sprecare le occasioni propizie, a non pretendere troppo.
E’ come se il poeta ci stesse dicendo che il rimorso è quanto di più terribile possa accaderci. Il rimorso nasce infatti da un’azione e che non si è avuto il coraggio di compiere. Nella vigliaccheria risiede la colpa. Il rischio è elemento fondante dell’agire umano, e quando non siamo abbastanza coraggiosi e non agiamo anche rischiando di perdere una cosa bella, scegliamo di rinnegare i valori per cui siamo nati, scegliamo di non vivere.
Letto in questo modo, la disgrazia che colpisce il nostro poeta può suggerirci una via di condotta, per quanto possibile, da applicare alle nostre singole esperienze esistenziali così da renderle vive e autentiche.