«Aspiro, per quando sia morto, a una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abietto o malvagio».
Giuseppe Antonio Borgese nacque il 12 novembre 1882 a Polizzi Generosa; nonostante gli esordi come avvocato, nel 1899 si iscrisse all’Istituto di Studi Superiori a Firenze. Frutto di questi anni di studio fu la tesi dal titolo Storia della critica romantica in Italia, fatta pubblicare da Benedetto Croce ne la Critica. Successivamente, Borgese iniziò la collaborazione con l’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, con il Regno e il Leonardo, riviste in cui è evidente l’impronta crociana del pensiero dello scrittore; ben presto inoltre egli subì il fascino del superomismo dannunziano, a cui diede espressione nella rivista Hermes (1904). Tuttavia, nel 1909 il saggio Gabriele D’Annunzio segnò un punto di svolta nella poetica di Borgese: prendendo le distanza dal crocianesimo e dal dannunzianesimo,egli teorizzò un ideale dell’arte come espressione della vita, mirando ad una drammaticità in contrasto con la «liricità» crociana e ad un’organicità opposta al frammentismo vociano.
Nonostante fosse un fervente interventista, la delusione per gli esiti prodotti dalla guerra indussero l’autore a criticare aspramente la cultura vitalistica e irrazionalistica delle avanguardie; pertanto, nel Tempo di edificare (1923) Borgese propose l’impiego di una letteratura costruttiva, capace di ricostruire valori e umanità, guardando soprattutto ad autori come Pirandello. Tale critica della cultura interventista era già stata precedentemente espressa dallo scrittore nel romanzo Rubé (1921): in esso sono narrate le vicende di un intellettuale siciliano, Filippo Rubé, e i processi psicologici intervenuti nel personaggio nel passaggio dall’interventismo al dopoguerra. Tema dominante dell’opera è l’inettitudine del protagonista, nata da un’antitesi insanabile tra consapevolezza della propria inferiorità e volontà di autodeterminazione. In questo caso, la pirandelliana immersione dell’individuo nel flusso irrazionale della realtà non ha esito positivo, tanto che la partecipazione degli uomini a destini collettivi non può che rivelarsi illusoria e vana. Questa analisi totalmente disincantata della condizione umana è descritta attraverso una serie di trame di rapporti simbolici tra luoghi e oggetti; la realtà è inoltre affrontata con un metodo naturalistico volto a mettere in evidenza associazioni nascoste, ma anche misteriose, nel mondo che circonda l’uomo.
Il tentativo di esprimere questa drammatica riflessione morale indusse Borgese a tentare anche la strada della poesia, tanto da pubblicare nel 1922 la raccolta Poesie. Inoltre, l’attività come critico e saggista produsse una riflessione politica sul totalitarismo e il progetto di una «costituzione mondiale», basata su un liberalismo pacifista.
In seguito, per le proprie scelte letterarie e antifasciste, l’autore fu costretto a trasferirsi in America, dove insegnò in molte università dal 1931 al 1949. Ritornato in Italia, continuò l’insegnamento universitario a cui affiancò la produzione delle ultime opere di saggistica, vincendo il Premio Marzotto nel 1952. Morì a Fiesole, il 4 dicembre dello stesso anno.
L’attivismo culturale di Borgese ebbe dunque come tratto fondamentale l’ottica cosmopolita con cui egli si rivolgeva alle esperienze letterarie della sua epoca, considerandole uno stimolo e un punto di partenza per una riflessione più ampia sulla realtà del mondo circostante.