L’opera del narratore milanese di maggior successo della sua epoca, Emilio De Marchi (1851 – 1901) deve il proprio successo alla riuscita connessione tra tradizione manzoniana e naturalismo.
Nato in una famiglia piccolo-borghese ed insegnante di lettere, fu impegnato in diverse iniziative di carattere pubblico, ma si distinse anche per scritti di carattere pedagogico con un occhio fisso all’opera manzoniana in toto, seppur tentando di rappresentare una realtà urbana legata alla contemporaneità, utilizzando quindi elementi socio-storici sensibilmente diversi da quelli del suo illustre “maestro”.
La sua letteratura si è da sempre proposta come un tipo di letteratura edificante, i suoi scritti contengono infatti un vivace moralismo, mirando a denunciare corruzioni e prepotenze e a porre sotto una luce positiva umili figure di persone “oneste” , quasi puntualmente sconfitte dall’irruenza dei meccanismi sociali, tutt’altro che equi. Al contempo vengono affermate con convinzione le necessità delle gerarchie sociali, con un atteggiamento di inaspettato conservatorismo divenuto sempre più duro ed evidente nell’arco degli ultimi anni di vita di De Marchi.
La sua produzione narrativa iniziò con novelle e bozzetti, immagini tratte dalla vita quotidiana e pubblicate tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, anche se il successo giunse con il suo primo romanzo Il cappello del prete, apparso nel 1887 e in un volume l’anno successivo, mettendo assieme differenti tipologie della narrativa di appendice ambientata nella città di Napoli. A questo seguì il romanzo Demetrio Pianelli, uscito a puntate nel 1889 e in volume l’anno successivo: si tratta della storia di un umile impiegato di origini contadine, la cui vita viene sconvolta da vicende familiari non dipese dalle proprie scelte. Personaggio incarnazione del “povero diavolo” nel tipo di poesia che poi ne prenderà il nome quasi a costituirne un sottogenere, esso si troverà a far fronte a scelte di carattere morale e personale quasi mai semplici, essendo destinato comunque ad una sconfitta che aleggia quasi tra le righe della narrazione.
Il successivo romanzo, Arabella, è incentrato sulla figura della nipote di Demetrio (il protagonista del precedente romanzo), anch’ella vittima delle scelte altrui e capro espiatorio della società umana. Altri romanzi pubblicati di De Marchi sono Il redivivo (1895 – 96), Giacomo l’idealista (1897) e Col fuoco non si scherza (1900).
Da sempre abile costruttore di vicende narrative, De Marchi introduce da sempre nelle sue storie una prospettiva etica in cui il suo moralismo di tipo piccolo-borghese invita ad una generica bontà d’animo fatta di sofferenze a sottomissione, ma anche di esteriore “rispettabilità”. Per quanto concerne l’aspetto puramente stilistico-letterario, la marca che caratterizza la sua produzione è sottolineata da una notevole audacia rappresentativa, che però viene troppo spesso immersa in un magma di moralismo fine a se stesso, limitativo per l’orizzonte generale dell’opera, troppe volte vicina al patetismo e all’esagerazione delle disgrazie.
Lontana da quella manzoniana è anche la lingua, la quale si pone all’altezza di un “medio” pubblico milanese, con una misura rapida e colloquiale, con frequenti cadute nel generico e nel banale. Indifferente ai valori stilistici, De Marchi ha spesso modi frettolosi e convenzionali.