Galles 1942: un ragazzo rinsavisce dopo una brutta caduta e non ricorda più chi sia. Viene accolto dal signor Owens e da sua figlia Catherine per riprendersi dall’incidente. L’unica certezza che ha è quella di essere indiano e i suoi ospitanti iniziano a chiamrlo Hari. Questo è l’inizio del romanzo Sete di Shree Ghatage, autrice indiana trapiantata in Canada che ci accompagna nella scoperta di un amore tenero e inatteso partendo da spiazzanti premesse.
Il vuoto di memoria del protagonista è totale e su di lui percepisce un tocco di inquietudine che lo induce a preoccuparsi di raggiungere l’ambasciata a Londra e scoprire qualcosa su di sé. Ma la guerra imperversa in Gran Bretagna e i mezzi di locomozione non sono al suo servizio: deve attendere un paio di settimane approfittando dell’ospitalità dei suoi benefattori. Hari si sente in gabbia, impotente ed estraneo al mondo grigio e nebbioso che l’ha accolto. Catherine inizia a dare segni di squilibrio e il vecchio padre confessa al ragazzo la malattia che la rende sempre meno lucida di fronte al mondo reale. La situazione si fa sempre più soffocante quando in un momento di isteria lei cerca di sedurlo. La partenza per Londra è urgente e finalmente il ragazzo si lascia alle spalle questa parentesi gallese per rendersi conto immediatamente del suo enorme errore: il suo nome è Baba e non avrebbe mai dovuto lasciare l’India e la moglie Vasanti.
Dal momento in cui Baba recupera la memoria il romanzo ripercorre, con un lungo flashback ricco di suspance, il breve periodo matrimoniale vissuto in India, a Nagpur. La narrazione accompagna prima Vasanti, raccontando la morte del padre e il matrimonio combinato, spostandosi poi su Baba, taciturno avvocato, e le ragioni per cui vuole lasciare la patria. Vasanti ha solo diciotto anni e improvvisamente si trova sola al mondo, in balia delle decisioni degli zii che combinano un matrimonio con la famiglia dell’avvocato. La ragazza si trova a dover affrontare solitudine e angoscia e ambientarsi in un luogo a lei sconosciuto lontano da casa. Viene presa dal panico e dallo sconforto a causa della freddezza del marito che sembra non voler alcun tipo di rapporto con lei, ma quando inizia a prendere da lui delle lezioni di inglese la tensione si allenta. Baba dal canto suo non desiderava assolutamente sposarsi, le sue intenzioni sono sempre state quelle di partire per Londra. Ma poco a poco i suoi rancori verso il padre Nanashib lasciano posto ad una splendida tenerezza per la sua giovane sposa e lasciarla sarà per lui un enorme sacrificio.
L’inizio misterioso che l’autrice imprime alla vicenda lascia scoperti parecchi nodi della storia che si vogliono risolvere con urgenza durante il percorso di lettura. Purtroppo le aspettative che si creano intorno all’enigmatico episodio in Galles sono altissime e la vicenda che segue non è in grado di soddisfarle. L’esito delle vicissitudini del protagonista restano sospese in un finale torbido e inconcludente. Baba è oscuro e misterioso, ma non si giunge ad una sua vera e propria scoperta. Le sue decisioni e i suoi ragionamenti rimangono enigmatici per il lettore, che alla fine del libro ancora non comprende a pieno i suoi movimenti. Credo che la pecca del romanzo sia la mancanza di identificazione con il personaggio principale che appare distaccato e freddo anche nei nostri confronti, e non solo per quanto riguarda la docile moglie. Da parte sua, Vasanti, ci appare molto più umana e comprensibile nei suoi gesti di timidezza e nella sua innocente titubanza. La descrizione del matrimonio e dei loro rapporti iniziali è condotta perfettamente, l’India immortalata dalla Ghatage è genuina e senza pretese d’esotismo.
È grazie all’incrocio delle direttive del racconto e ai salti temporali che riusciamo a comprendere a piccoli passi qual è la vera storia di Baba, non solo d’amore ma anche di rancore, pentimento e tradimento che si espande su due poli opposti: un’India sgargiante e accogliente contro una Londra cupa e rigida.