«Chi vuol avere un attimo solo sua la vita, esser un attimo solo persuaso di ciò che fa, deve impossessarsi del presente; vedere ogni presente come l’ultimo, come se fosse certa dopo la morte; e nell’oscurità crearsi da sé la vita».
Carlo Michelstaedter nacque a Gorizia il 3 giugno 1887; ultimo di quattro figli, apparteneva ad una ricca famiglia ebraica della città. Dopo aver frequentato lo Staatsgymnasium, nel 1905 si iscrisse alla facoltà di Matematica a Vienna; successivamente si trasferì a Firenze dove studiò all’Istituto di Studi Superiori. Qui Michelstaedter si interessò di filosofia e di letteratura, e allo stesso tempo coltivò l’amore per la pittura, eseguendo schizzi e disegni molto suggestivi. In questi anni pubblicò anche alcuni articoli sul Corriere friulano e sul Gazzettino popolare.
Tornato a Gorizia, tra il 1909 e il 1910 lo scrittore cominciò a scrivere la tesi di laurea, intitolata La persuasione e la rettorica: si tratta dell’unica opera compiuta di Michelstaedter, pubblicata postuma nel 1913. In questo periodo l’autore scrisse anche la maggior parte delle proprie composizioni: poesie, dialoghi e riflessioni costituiscono una produzione magmatica, caratterizzata dall’impiego di un linguaggio estremamente lucido, volto ad indagare la contraddittorietà del comportamento umano. Lo scrittore infatti condanna l’artificiosità e la menzogna della vita sociale, anelando una vita vera e autentica.
Michelstaedler individua il mito come strumento di conoscenza della realtà ultima delle cose: per questo motivo alcune poesie sono dominate da uno stile di rigore classico, con cui l’autore tenta di emergere dalla costrizione imposta dal linguaggio stesso, dalle maschere sociali e dall’apparenza dell’io. Significativi in questo senso sono il Dialogo della salute e il Discorso al popolo, disincantata denuncia dei falsi miti del progresso.
Lo scritto principale dell’autore è tuttavia la sua tesi, La persuasione e la rettorica: una serie di riflessioni che tentano di svelare il legame tra pensiero, comunicazione sociale e organizzazione dell’esistenza umana. Secondo Michelstaedler, quest’ultima si fonda su illusioni volte ad allontanare il dolore e a creare sicurezze solo apparenti. La vita dell’uomo si configura quindi come una mera successione di illusioni, ideate per la loro utilità: in questo modo ci si persuade che sia vera vita quella che si vive, ma si tratta di una persuasione illusoria. La persuasione autentica, infatti, consiste nell’accettare il destino umano, con il suo carico di dolori e sofferenze: solo chi è persuaso autenticamente può «impossessarsi del presente», assumendo «la responsabilità della propria vita». Tuttavia, a questa visione disillusa e realistica della vita, l’uomo preferisce la rettorica, un insieme di valori apparenti e artificiali, che creano false conoscenze e certezze. Michelstaedler si propone quindi di lottare contro la rettorica, ossia contro i fondamenti dell’ipocrisia della società stessa; in questo modo, l’autore prende le distanze dall’orizzonte intellettuale del suo tempo, criticando sia le forme del potere tradizionale sia il nuovo idealismo.
Tuttavia, il tentativo di superare le barriere della costrizione sociale, passando da una persuasione illusoria ad una autentica, si rivela impossibile da realizzare. Quella vagheggiata dall’autore era un’umanità libera dalle istituzioni e dalle illusioni che la allontanavano da se stessa: probabilmente fu proprio la consapevolezza del carattere utopico del proprio progetto a indurre l’autore al suicidio, il 17 ottobre 1910.