In pieno progresso scientifico, si fece strada, nell’Europa dell’800, il presentimento che a nulla avrebbero portato i miglioramenti materiali, poiché lo stesso progresso sembrava condurre a qualcosa d’indefinito, a un nulla mai dichiarato dai suoi più accaniti ideologi, mentre l’ottimismo nelle naturali disposizioni dell’uomo si stava convertendo in una strana forma di nichilismo. In Francia, propriamente in ambito letterario, questa forma di nichilismo raggiunse il suo acume con Baudelaire e Flaubert.
Flaubert, in modo particolare, dopo aver smantellato le credenze e le superstizioni correnti con l’opera Le tentazioni di S. Antonio, si accinse ad analizzare gli aspetti paranoici e schizofrenici della cultura moderna. Stillò una raccolta di idee, nozioni, stralci di innumerevoli riviste e migliaia di volumi letti, una enorme lista di follie umane, tutte quelle stupidità che, secondo l’autore, stavano a fondamento delle discipline teoriche e pratiche della cultura occidentale. Da questa incredibile quantità di materiale, esibito con ironica glorificazione, prese vita una delle più geniali e audaci farse del mondo della letteratura, uno schiaffo diretto alla pretenziosità e alla vana gloria dell’uomo, l’opera più ambiziosa e controversa di Flaubert: Bouvard e Pécuchet.
Il romanzo narra la storia di due copisti, piccoli borghesi e legati da una profonda amicizia, uomini di buon carattere, curiosi e con l’intento di farsi una cultura, delusi dal Positivismo e dal progresso scientifico. Col tempo la loro passione per il sapere si tramuta nell’ambizione di dover studiare ogni cosa dello scibile umano, con la speranza di arrivare a verità ultime e assolute, e porre un ordine al caos della condizione umana. Chimica, Filosofia, Religione, Archeologia, Anatomia, Geologia, Storia, Politica, Pedagogia: la voglia di conoscere è insaziabile, ma la loro fede nei testi viene sistematicamente sottoposta a critica, esponendoli spesso a dolorose scoperte. La cultura degli uomini si mostra infarcita di pregiudizi, le più grandi scoperte sembrano ricche di contraddizioni, molte ottenute senza alcun rigore scientifico. In lungo e in largo tutto sembra essere nient’altro che fanatismo, superficialità e idolatria.
L’unica soluzione è quella di tracciare due visioni risolutive della storia umana, incalzate da quelle inclinazioni che sempre hanno intessuto l’anima dell’uomo: la prospettiva pessimistica di Pécuchet e quella dell’ottimista Bouvard.
Il primo immagina, alla fine del progresso, uno stato di completa depravazione. Le alternative possono essere: 1) una radicale rottura col passato, creando uno stato dispotico; 2) la vittoria dell’assolutismo teista e il conseguente tramonto del liberalismo; 3) il dominio dell’America sul mondo e la fine di ogni ideale.
La soluzione “ottimista” di Bouvard prevede, come possibilità di miglioramento, il rinnovo dell’Europa con l’aiuto dell’Asia, col permettere il sorgere di nuove culture, mettere un freno al bisogno umano e, di conseguenza, annullare il male sulla terra. Solo così l’amore per il sapere può diventare la nuova religione.
La sfida dei due copisti diventa, in questo modo, la sfida dell’autore. Che l’immensa mole di credenze e ideologie possa colmare il nulla della realtà è compito della scrittura, tentativo estremo di creare una connessione di fatti come una tela di miriadi di significati.
Ciò che resta è l’ovvia incapacità di dare un significato all’impenetrabile e infinitamente intricato corso storico del mondo. Il ritorno all’atto meccanico della copiatura, verso la fine dell’opera, mostra l’impossibile conciliazione tra mondo e scrittura. Il sogno di Flaubert di tenere insieme gli accadimenti del mondo con l’opera letteraria è, in definitiva, irrealizzabile.
L’autocritica, che rivela il desiderio di uno scrittore di opporsi al vuoto delle cose, diventa una meta-critica sulle pretese della ragione umana di assolutizzare sé stessa e le sue conquiste. La scrittura, analogamente, si mette alla prova per mostrare l’incapacità di andare oltre il confine da lei stessa stabilito.
Nonostante ciò, è implicita in Flaubert la convinzione che il senso stia nell’assoluta mancanza di esso. L’apparente insensatezza delle cose, la ricerca incessante di un significato ultimo, diventano le necessarie condizioni perché la conoscenza possa sempre, ogni volta, edificarsi nel mondo, e indicare una via al percorso storico dell’umanità. Motivi per i quali la scrittura non cesserà di esistere.