Voglio essere o Chateaubriand, o niente.
A soli 14 anni, Victor Hugo prospettava così il suo futuro, appuntando questa breve ma categorica frase sul suo diario dell’epoca, contro il desiderio del padre che l’avrebbe voluto ingegnere, o, almeno, militare. A soli 14 anni Victor Hugo già sentiva la spinta inarrestabile dell’ispirazione letteraria farsi largo attraverso la sua anima, passando per quel cervello fuori dalla norma e tanto studiato dagli scienziati (aveva un volume di 2mila cm cubi, nettamente superiore alla media dei 1500 normali) e profilandosi all’orizzonte della sua vita come l’unico destino possibile.
Scrittore, poeta, drammaturgo, politico, ma anche satirico e disegnatore, Victor Hugo è considerato il padre del Romanticismo nella sua espressione più matura, simbolo degli umili e padre della patria in esilio, vessillo di una Francia dilaniata da guerre e rivoluzioni, alle prese con una democrazia e un’esigenza di rinnovamento – di valori, di costumi, di ideali – che si fa largo a colpi di ghigliottina nella nebbia di una vetusta mentalità monarchica, falcidiando l’ordine precostituito e gettando le basi per l’esplosione di una modernità che non è solo politica, o letteraria, ma anche idealistica e di pensiero.
Nato il 26 febbraio 1802 a Besançon, nella Franca Contea, il giovane Hugo trascorre la prima infanzia in viaggio tra Parigi, Napoli e la Spagna, insieme ai genitori e ai suoi due fratelli, per seguire il padre, conte napoleonico e militare nell’esercito di Giuseppe Bonaparte. Quando i suoi genitori si separano, nel 1813, il giovane Victor si stabilisce a Parigi insieme alla madre, dove frequenta il liceo Luois le Grand – il tentativo di dedicarsi agli studi tecnici su richiesta del padre fallisce ben presto – e partecipa agli incontri del Cenacolo di Charles Nodier, culla del Romanticismo, trovando ispirazione per i suoi primi componimenti.
A soli 18 anni sposa Adèle Foucher, amica d’infanzia da cui avrà cinque figli. Nessuno di loro gli sopravvivrà, eccetto l’ultima, Adèle, la cui esistenza sarà però segnata dal triste destino della follia. I lutti numerosi e precoci e la scoperta del tradimento da parte della moglie pochi anni dopo le nozze gettano nella sua mente il seme della depressione. Unica luce e conforto sono la scrittura, a cui si dedica incessantemente, prima come poeta, (nel 1822 esce il suo primo libro, “Odi e poesie diverse”), poi come drammaturgo (compone numerosi testi teatrali epocali, da Cromwell, 1827, manifesto teatrale del Romanticismo a “Hernani”, 1830), infine come romanziere (nel 1831 esce “Notre-Dame de Paris”, suo capolavoro indiscusso) e la relazione con Juliette Drouet, attrice conosciuta durante le prove per “Lucrezia Borgia” (1833), e a cui lo scrittore resterà legato per quasi 60 anni, nonostante il tradimento della moglie l’abbia reso un cinico libertino incapace di credere ancora alla fedeltà dell’amore.
Nel 1845, dopo un periodo molto prolifico dal punto di vista letterario, arriva la notizia della morte in un incidente in barca della figlia Leopoldine insieme al marito; la tragica fatalità, seguita dall’insuccesso della sua ultima opera teatrale, “I Burgravi”, lo getta in una depressione che lo terrà lontano dal mondo e dalla vita letteraria per dieci lunghi anni. Sono anni difficili, che lo vedono impegnato in politica come deputato dell’assemblea costituente sotto Filippo d’Orelans e poi, in seguito all’elezione di Luigi Napoleone Bonaparte, gli costano l’esilio per la sua opposizione al nuovo regime. Un esilio che lo porta in Belgio, nell’isola di Jersey e a Guernesey, poi a viaggiare, anche dopo l’amnistia proclamata dall’imperatore, che Hugo rifiuta per orgoglio, in Lussemburgo e lungo il Reno.
L’esilio accresce il mito dell’Hugo liberale e vicino agli oppressi, e porta con sé un vento di rinascita: inizia un nuovo periodo molto prolifico dal punto di vista letterario, durante il quale oltre a dedicarsi alla satira politica, unico strumento rimasto per opporsi al potere imperiale, vede la luce uno dei suoi capolavori immortali, “I miserabili” (1862), che suggella la definitiva immagine del poeta vicino alla semplicità e all’umiltà della gente del popolo, cui seguono “I lavoratori del mare” (1866) e “L’uomo che ride” (1869).
Victor Hugo tornerà in patria solo nel 1870, dopo la caduta di Napoleone III e l’instaurazione della Terza Repubblica, che lo vedrà nuovamente senatore. Accolto come un eroe, Hugo trascorre l’ultimo periodo della sua vita circondato dall’affetto dei suoi connazionali e dalla stima degli amici letterati e scrittori. L’ultimo periodo vedrà nascere scritti importanti come il romanzo “Novantatré” e la raccolta di poesie dedicate alla vita familiare “I miei figli” (1874), e alcune satire politiche come “Il Papa” e “Torquemada”. Questa fase di relativa tranquillità sarà offuscata soltanto dalla morte di Juliette Drouet durante i festeggiamenti per il suo ottantesimo compleanno. Hugo la seguirà pochi anni dopo, a 83 anni, il 22 maggio 1885.
La sua salma, esposta sotto l’Arco di Trionfo e vegliata da 12 poeti sarà infine trasportata nel corbillard des pauvres, la carrozza funebre dei poveri, in rispetto delle sue ultime volontà, non al cimitero di Père Lachaise, ma al Pantheon appena inaugurato, dove 3 milioni di persone giunsero a rendergli l’ultimo omaggio, e dove tuttora riposa, accanto ad altri due scrittori che, come lui, possono definirsi immortali celebratori di un secolo di cambiamenti: Alexadre Dumas e Emile Zola. Di sicuro non si annoieranno per l’eternità.