I suoi amici non la riconoscevano più, ormai: Sarah si era trasformata in un cupo esserino con le occhiaie ed i capelli arruffati, aveva cancellato ogni scintilla di sorriso dai suoi occhi e passava le giornate a dormire e guardare soap alla tele, mentre la notte piangeva. Sapevano che in fondo era sempre lei, che quella delusione d’amore sarebbe stata dura a guarire perché era la prima, che erano ingiusti ad evitarla in quel modo così palese, ma… insomma, non ci si può mica trascinare dietro uno zombie ad ogni serata in discoteca, che poi si va sempre a finire che bisogna legarla a doppio filo a qualcuno della compagnia per evitare di perderla.
Loro avevano tentato di tirarle su il morale, ma i loro sforzi erano stati inutili. “Allora che si arrangi, noi ci abbiamo provato. Le passerà”.
Ma a lei non passava.
Sarah era cosciente del fatto che non poteva abbattersi in quel modo solo perché il suo compagno se n’era andato. Non importava se lui aveva fatto le valigie da un giorno all’altro e l’aveva lasciata in quel monolocale con il letto matrimoniale, troppo grande per lei sola. Non importava se l’unica spiegazione era stata scritta in un post-it giallo sopra al tavolino della cucina, Mi sono reso conto che non funziona, tu mi opprimi. Stammi bene. Claudio. Non importava se quel “tu mi opprimi” era rimasto senza movente, non importava se non rispondeva al cellulare e non aveva indicato il nuovo indirizzo.
Sarah continuava a ripetersi che non importava, ma la verità era che importava eccome.
Poi, cos’è successo?
Nulla, uscì a comprarsi un giornale da donne, con il cappotto infilato sopra la maglietta del pigiama e, una volta tornata a casa, si stravaccò mollemente sul divano per leggerlo. Lo sfogliò pigramente, saltando alcune pagine e soffermandosi su tutti gli articoli meno impegnativi che trovava. Verso la fine della rivista c’era, come d’obbligo, la Posta del Cuore, una rubrica che lì aveva il banalissimo nome di “Caro Luca”. Il viso di un uomo belloccio, probabilmente il “caro Luca”, torreggiava accanto all’intestazione della pagina e la sua posa era probabilmente stata studiata apposta per far sì che fissasse la lettrice negli occhi. Lo sguardo era mite e caldo, come quello del fratello che vi scompiglia i capelli o dell’amico che vi abbraccia se state male.
Forse è stata quella foto o forse le tinte pastello e rassicuranti che facevano da sfondo alle lettere della rubrica, fatto sta che Sarah decise di leggere tutte e quattro le pagine colme di problemi d’amore e d’amicizia a cui il “caro Luca” rispondeva con paterna affettuosità, a volte severo e altre in un tono così dolce che lei rischiò seriamente di commuoversi.
Ci si può infatuare di una persona solo dalle frasi di un confidente di donne dai cuori infranti su un giornale da quattro soldi? Evidentemente sì, perché da quando lesse quella rubrica, Sarah cominciò a non pensare più a Claudio per dedicarsi a dei lunghi viaggi mentali nei quali la sua nuova fiamma era il “caro Luca”. Rilesse parola per parola tutte e quattro le pagine di lettere, imparò le sue risposte a memoria e fingeva che fossero dirette a lei. Cominciò a comprare quella rivista ogni settimana, ne buttava nel cestino la maggior parte e teneva solo la rubrica della Posta del Cuore.
Nei sui sogni, Luca la prendeva per mano, la consolava con dolci frasi rassicuranti e la faceva sentire di nuovo bella. A lui non importava dei suoi capelli sporchi e arruffati, né dei chili in più che aveva preso dopo tutto quel cibo spazzatura che aveva ingurgitato. Era bello, aitante, con le braccia forti per abbracciarla quando stava male.
Sarah però non riuscì ad accontentarsi per molto di quel debole palliativo e decise che, se davvero la sua cotta era qualcosa di più di un frutto della sua immaginazione che si risvegliava fragorosamente dall’apatia, doveva fare qualcosa. Sul serio, stavolta.
Con un panno levò tutta la polvere che si era accumulata sopra al monitor del computer e lo accese. Avviò il programma di scrittura e cominciò a pensare a cosa scrivere al “caro Luca”.
Doveva presentarsi? Banale. Spiegargli la sua storia, il modo in cui Claudio l’aveva abbandonata, lo stato di apatia nel quale era caduta dopo la rottura? Avrebbe dato un’impressione sbagliata di sé. Confessare il fatto che si era innamorata di lui? No, no, no.
C’erano anche altri dubbi che le impedivano di scrivere una lettera al suo innamorato immaginario: lui non avrebbe mai saputo chi era lei, forse non avrebbero pubblicato la sua domanda, forse l’avrebbero pubblicata tagliando senza pietà dettagli importanti.
Dopo tre quarti d’ora infruttuosi, spense il computer, si mise a letto e cominciò a fantasticare, come faceva da tempo, sul suo uomo dei sogni, quel Luca dal viso sfocato che le sorrideva dalla pagina della posta del cuore. Quando il sonno stava per accoglierla tra le braccia, le balenò per una mente un’idea geniale, l’unica che le fosse venuta quel giorno. Ci pensò per qualche attimo e poi si addormentò.
Le buone idee, si sa, alla mattina sembrano dissolversi o, peggio, appaiono stupide e poco credibili. Quella che a Sarah venne la sera prima, però, non era affatto stupida, perché quando si alzò di buon ora, la prima cosa che fece fu metterla in atto.
Prese il giornale dove veniva pubblicata la rubrica di Luca, lo sfogliò attentamente da cima a fondo finché non trovò ciò che cercava. Poi prese una cartina, fece un paio di telefonate e da lì ad un paio d’ora era in stazione. Prese un treno, dopo tre ore scese in una piccola stazione di provincia. Poi salì su un autobus, il 54, e poi ancora su un altro autobus, stavolta il 21. Viaggiò per quaranta minuti e poi camminò per un chilometro e mezzo.
Finalmente, Sarah arrivò a destinazione. L’edificio era grande, certo, ma non grande come si aspettava. Non era un enorme palazzo e l’insegna era tutto fuorché imponente. Be’, che si aspettava, in fondo? Una specie di sede del New York Times?
Timidamente si avvicinò all’ingresso e suonò il campanello. La porta venne aperta e lei entrò, ritrovandosi di fronte ad una donna che si sistemava le unghie sopra ad una scrivania disordinata.
“Ehm… scusi…”, bisbigliò Sarah. Quella si voltò con aria infastidita e la squadrò da capo a piedi.
“Ehm…” continuò Sarah, “io… ecco.. cercavo Luca”.
“Ah. Luca”, sorrise beffarda la donna, senza nemmeno poggiare la lima per unghie sopra alla scrivania. “Luca chi?”.
“Quello…mmm… quello della rubrica Caro Luca”.
Il sorrisetto canzonatorio della segretaria non scomparve dal volto, anzi, se possibile si accentuò. Afferrò il telefono, annunciò Sarah come visitatrice e poi le indicò la strada per l’ufficio tre. “Là troverà quello che cerca”, le disse.
Sarah fece quello che le disse la donna e raggiunse l’ufficio con la targhetta a forma di numero tre appesa alla porta.
“Avanti!”, rispose una voce femminile dall’interno quando lei bussò delicatamente.
All’interno della stanza, che sembrava molto piccola, forse anche per colpa delle pile di riviste, libri e risme di carta accatastate disordinatamente sul pavimento, c’era una scrivania alla quale sedeva una giovane donna con i capelli neri e gli occhi chiari.
“Prego, di cosa ha bisogno?”, chiese all’ospite che si guardava attorno, disorientata.
“Io… cercavo Luca, quello della rubrica Caro Luca. Lei deve essere la… segretaria, giusto?”.
La giovane fissò con occhi sgranati Sarah, prima di scoppiare in una fragorosa risata, facendola arrossire dall’imbarazzo. Aveva forse detto qualcosa di buffo?
“No, signorina”, disse la ragazza appena riuscì a smettere di ridere. “Non sono la segretaria, ecco… A dire la verità, il “caro Luca”… sono io”.
Dire che Sarah rimase pietrificata è un eufemismo. Spalancò la bocca senza rendersene conto e non riusciva a pronunciare nulla. Si sentiva umiliata, imbarazzata, delusa e terribilmente spossata. Aveva affrontato un viaggio complicato per… scoprire che l’uomo di cui si era infatuata non esisteva?
La giovane con i capelli neri, che si presentò come Luisa, spiegò ogni cosa: il caporedattore credeva che una rubrica sugli affari di cuore tenuta da una donna avrebbe riscosso poco interesse, così aveva assunto Luisa convincendola a creare un personaggio fittizio a cui attribuire gli articoli che lei scriveva. A lei era bastato fare una pessima fotografia ad un cugino belloccio che non vedeva l’ora di ammirare il suo viso stampato su una rivista, anche di second’ordine, e parlare in prima persona fingendo di essere un uomo.
E così, Luca non esisteva. L’uomo che aveva sognato di incontrare, toccare, abbracciare, sarebbe rimasto un frutto della sua fantasia. Ora a Sarah non rimaneva altro che tornarsene a casa e sprofondare nuovamente nel divano per autocommiserarsi per il resto delle sue giornate.
Luisa si accorse che la sua ospite era un poco scossa. Così le posò una mano sulla spalla e le offrì di uscire a bere un caffè al bar lì accanto. “Tanto ho finito il mio turno, per oggi. Dai, andiamo”.
Al bar, Sarah le confidò ogni cosa: raccontò di Claudio che l’aveva abbandonata, la sua successiva discesa nell’apatia e le giornate passate ad immaginare un uomo che in realtà non esiste. Luisa ascoltò con attenzione, intervenne solo quando era necessario e riuscì a consolare Sarah, anche quando le vennero le lacrime agli occhi. Nella sua voce e nelle sue parole, lei ritrovava l’autore di quelle lettere che l’avevano tirata su di morale per diverse settimane e, quando finirono di parlare, si sentiva incredibilmente sollevata. In fondo aveva solo bisogno di qualcuno che l’ascoltasse, ma lo capì solo in quel momento. Sarah e Luisa si salutarono con un abbraccio e si scambiarono i numeri di telefono, promettendosi di ritrovarsi, un giorno o l’altro.
Sarah non aveva certo trovato l’uomo dei suoi sogni, no, e nemmeno una persona che sostituisse il suo ex compagno. Ma aveva trovato un’amica e la voglia di smettere di piangersi addosso per qualcosa di cui non ne valeva affatto la pena. E per lei questo bastava.