Sullo sfondo e l’eleganza della Dublino di fine 800, il 2 Febbraio 1882, nacque James Augustine Aloysius Joyce, conosciuto oggi come uno tra i più grandi scrittori e poeti di tutti i tempi.
Joyce crebbe in una famiglia molto cattolica, maggiore di 10 figli. Nel 1887, suo padre ottenne lavoro a Bray, una piccola città a venti chilometri da Dublino, dove si trasferì tutta la famiglia.
Un anno dopo, James iniziò a frequentare il prestigioso Clongowes Wood College, che però si rivelò troppo costoso per la famiglia, soprattutto quando suo padre, perse il lavoro. Grazie ai suoi ottimi voti e ad una forte passione per lo studio che lo contraddistingueva, qualche tempo dopo, venne accettato, gratuitamente, al Belvedere College, collegio gesuita. Ciò nonostante, il suo carattere anticonformista e ribelle, lo portò a rinunciare al credo cattolico e a rifiutare qualunque tipo di religione, risentendo tuttavia,dell’influenza di alcuni grandi filosofi, tra cui San Tommaso d’Aquino.
Nel 1898 Joyce iniziò a frequentare l’University College di Dublino, dove studiò lingue moderne. In questo stesso periodo si accostò molto ad un autore, i cui scritti, all’epoca, venivano considerati immorali: Ibsen. Si dedicò molto alla lettura dei suoi scritti, tenendo anche dei discorsi durante gli incontri del circolo storico-letterario di cui faceva parte all’università.
Nell’autunno del 1902 Joyce si laureò. Un mese dopo si trasferì a Parigi, si iscrisse alla Sorbona per diventare medico; ma, nonostante il suo lavoro come scrittore di recensioni per il Daily Express e l’aiuto economico della famiglia, James visse in povertà, fino a quando, quattro mesi dopo, fu costretto a far ritorno in Irlanda a causa della malattia della madre.
Nel 1904, scrisse “Ritratto dell’artista da giovane”, che venne rifiutato dalla rivista “Dana”. Il romanzo fu pubblicato nel 1916.
In questo stesso anno, Joyce conobbe Nora Barnacle, una cameriera che sarà sua compagna per tutta la vita. Iniziarono anche i suoi problemi di alcolismo, così come successe a suo padre.
Nel 1905 James e Nora si trasferirono a Trieste, ancora parte dell’impero Austro- Ungarico. Qui James trovò lavoro come insegnante. Nello stesso periodo nacque il loro primo figlio e nel 1906, spinti dal desiderio di viaggiare, si trasferirono a Roma, dove però, non rimasero a lungo.
Nel 1909, Joyce tornò in Irlanda per lavorare alla pubblicazione di “Gente di Dublino”. Tornato in Italia, qualche anno dopo, sostenne gli esami di abilitazione all’insegnamento nelle scuole italiane, ma, nonostante l’esito positivo, in Italia non gli venne riconosciuto il titolo.
Nel 1914, riuscì, finalmente, a pubblicare a puntate, “Ritratto dell’artista da giovane”, sulla rivista The Egoist, grazie all’aiuto di Ezra Pound.
In questo periodo Joyce, iniziò un’assidua frequentazione degli ambienti culturali dell’epoca e divenne ospite del Caffè San Marco, ritrovo degli intellettuali triestini. Intanto Joyce iniziò a scrivere “Ulisse”, una delle sue opere più famose. Riuscì a pubblicarne alcuni capitoli nel 1918 sulla rivista americana Little Review.
Due anni dopo, si trasferì a Parigi, dove rimase per venti anni. Nel 1922, “Ulisse”, venne interamente pubblicato.
La sua vita proseguì tra la stesura di un libro e l’altro e la cura dei figli (Lucia, sua secondogenita, manifestava i primi segni di schizofrenia). Nel Gennaio del 1941, a causa di una malattia che lo debilitò completamente, morì a Zurigo.
Tantissime le sue opere, conosciute, lette ed amate in tutto il mondo. Ricordiamo: “Finnegans Wake” (1939), “Gente di Dublino” (1914), “Il gatto e il diavolo” (1936), e molte altre, tra racconti e poesie.
Oggi, tutti noi, ricordando James Joyce, parliamo dell’Ulisse, di “quelle frasi strampalate, senza punteggiatura, messe qua e là, apparentemente senza senso”. In realtà, Joyce ha fatto suo questo modo di scrivere, il flusso di coscienza, tecnica appresa durante il suo soggiorno a Parigi, e riportata in tutte le sue opere, che fanno di lui un precursore della letteratura modernista.
Dietro la difficoltà iniziale della lettura, si cela un mondo profondo, fatto di personaggi concreti, storie reali e vite tangibili, protagonisti ispirati da persone che Joyce realmente conosceva, e per questo parte della quotidianità di ognuno.