Poeta e favolista francese di estrazione borghese, intraprese studi di teologia e di diritto con scarso entusiasmo, ma con la prospettiva di assumere la carica paterna di ispettore delle acque e delle foreste. Nel 1647 sposò l’allora quattordicenne Marie Héricart, per poi trasferirsi a Parigi e separarsi con la moglie. Una volta presentato all’allora ministro delle finanze Fouquet riuscì ad ottenere una pensione e ad essere tra i frequentatori abituali del castello di Vaux; eppure quando nel 1661 il suo protettore cadde in disgrazia, fu costretto a fare appello alla clemenza di Luigi XIV, ma invano.
Riuscì ad uscire ugualmente dalle difficoltà economiche grazie all’aiuto di alcuni amici di famiglia, o meglio di amiche, tra le quali spiccavano la duchessa di Orléans, la duchessa di Bouillon e Madame de la Sablière. Frequentò poeti e letterati di spicco tra i quali Racine, Molière, Boileau e Madame de la Fayette. Riuscì a farsi eleggere presso l’Académie française nel 1683. La Fontaine scrisse non soltanto commedie, ma anche poemi (Gli amori di psiche e Cupido, Adone) e Racconti e novelle in versi mutuati dall’esperienza poetica ariostesca, dalla prosa boccacciana, da Poggio Bracciolini e dall’intero filone dei novellieri cinquecenteschi. Accolse spesso temi licenziosi, tanto da essere definito “un Aretino mitigato”, anche se fu conosciuto dai posteri per le sue Favole pubblicate a Parigi nel 1694. L’intero materiale di queste storie è mutuato da Fedro, dal Romulus medievale, dalla raccolta di exempla, dai favolisti di epoca rinascimentale e dal Libro dei lumi attribuito all’indiano Bidpāi: tutti autori di testi con i quali La Fontaine intrattenne piacevoli rapporti di sintonia intellettuale, sostenuti dal classicismo imperante di quegli anni.
Alcuni aspetti peculiari degli stilemi propri dell’autore sono il linguaggio non privo di arcaismi e tecnicismi, nonché la versificazione libera ed irregolare. La scelta stessa della favola avente come tema gli animali rivela una scelta stilistico-narrativa nettamente divergente rispetto al principale filone letterario contemporaneo caratterizzato da una temperie piuttosto aristocratica.
La commedia umana “animalizzata”, come fu definita da qualcuno a quei tempi, sono costituite in buona sostanza da tematiche tutt’altro che tradizionalmente accettate come quelle del capriccio, dell’astuzia e della forza in luogo delle consuete virtù incasellate in leggi universalmente riconosciute.
Seppur costituita da una potente identità popolare, la semplicità raffinata di La Fontaine affonda le proprie radici in verità ampiamente riconoscibili entro l’orizzonte del retaggio culturale comune, conoscendo una notevole fortuna e trovando una vasta eco nel proprio pubblico di riferimento.
Una netta differenziazione la si può riconoscere anche all’interno dell’opera dell’autore: i primi sei libri delle favole risultano ancora legati al modello didattico e moralistico della favola per bambini, mentre gli ultimi sono incentrati su una tematica di carattere spiccatamente etico-politico, caricandosi di messaggi profondi.
A livello prettamente stilistico, la varietà di registri (dotto, parlato, nobile e volgare) riesce a raggiungere punte di estrema risonanza etica, nonché di grande efficacia comunicativo-poetica: l’“arte della transizione”, così come la chiamava il critico Leo Spitzer, era in grado di donare estrema leggerezza allo stile di La Fontaine pur riuscendo a passare da uno stile all’altro senza la minima forzatura.
Alcuni vedono in questo autore il più grande lirico di Francia, forse proprio in ragione dell’estrema spontaneità scaturita da un discorso di pura e semplice imitazione del discorso orale trasposto in schemi poetici: ebbe luogo il cosiddetto “miracolo della cultura”.