È da alcune settimane ormai che, prima sul web, poi anche in TV, siamo venuti a conoscenza della campagna Giovane si, coglione NO, l’iniziativa intrapresa da tre giovani videomaker italiani per denunciare la situazione in cui la maggior parte dei giovani d’oggi che si approcciano al mondo del lavoro in campo artistico/creativo si trovano, per dire basta al lavoro gratis. “No, forse non ci siamo capiti. Per questo progetto non c’è budget. Non posso pagarti però fa curriculum.” Quante volte vi sarà capitato di sentirvelo dire? Nessun pagamento, nessuna assunzione, lavoro gratis.
Ci sono due punti di vista, essenzialmente. Da una parte, quello di un giovane italiano che ha intrapreso e magari portato a termine un percorso di studi in ambito umanistico/creativo: le aspettative sono molte, l’impegno non manca, anzi; pur di fare esperienza, di mettersi in gioco senza restare con le mani in mano, accetta le condizioni pessime che gli vengono fornite. Lui sbaglia, perché sottostare a questo tipo di situazione non fa che perpetrare un fenomeno che andrebbe a tutti i costi ostacolato. Dall’altra parte ci sono loro, i direttori di giornale, i responsabili di attività culturali, di piccole o grandi aziende, i quali assumono senza assicurare alcun pagamento, guadagnandoci in prestazioni lavorative e in stipendi non concessi. Non è necessario dare spiegazioni circa la poca correttezza di un atteggiamento di tal genere.
Una situazione così consolidata e stabile non può non avere conseguenze inevitabili: un via vai che sembra non aver intenzione di arrestarsi di giovani ragazzi che si allontanano dalle proprie città cercando nuove fortune all’estero, per lo più. Ci si chiede se vi siano possibilità di cambiamento, a partire da quale momento abbia avuto inizio questo sfruttamento ingiusto.Una cosa è certa: non è sempre stata così. Ci sono stati tempi in cui i grandi hanno aiutato i più piccoli a crescere professionalmente senza approfittare di loro in qualche modo. Ci sono stati tempi in cui i grandi che noi abbiamo studiato sui libri di scuola hanno messo da parte se stessi, anche quando non sarebbe stato necessario. C’è un episodio, in particolare, a testimoniarlo. Risale al 25 maggio del 1952, protagonista Alberto Moravia. Lo scrittore, infatti, fu designato il vincitore del Premio Strega di quell’anno per i suoi Racconti, e subito dopo si accinse a scrivere poche righe destinate alla commissione del suddetto premio, che testualmente dicevano:
«Dopo riflessione ho deciso di ritirare il volume dalla competizione per il Premio Strega. Penso che i premi andrebbero dati ad autori giovani o perlomeno sconosciuti. Ora io non sono più giovane e non sono sconosciuto. La mia decisione permetterà di premiare il più meritevole. Mi permetto a titolo puramente personale di indicare Italo Calvino.»
Il suo suggerimento fu respinto dalla commissione, che era allora formata da elementi come Guido Alberti, Corrado Alvaro, Ennio Flaiano, Vincenzo Talarico. Moravia dovette quindi accettare il riconoscimento.
Di Moravia ce n’è – come s’immagina – uno solo, ma chissà che certi nostri appelli indiretti non restino nell’aria e vengano captati da chi di dovere.