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Matilde Serao

Scrittrice e giornalista italiana, Matilde Serao nacqe a Patrasso il 14 Maggio 1856, dall’unione tra un avvocato e giornalista napoletano, e una nobile decaduta originaria della Grecia. Questa donna, Paolina Borely, diverrà con il tempo un vero e proprio modello per la figlia, nonché motivo di vanto per l’intelligenza e la cultura che la contraddistinguevano.

Matilde sarà centro del rinnovamento della pubblicistica italiana tra Ottocento e Novecento.

La famiglia Serao, fece ritorno a Napoli dopo qualche anno di “esilio obbligatorio”, causato dalle idee anti- borboniche del padre, nel 1860, in previsione dell’imminente caduta di Francesco II. Si trasferirono a Ventaroli, un piccolo borgo collinare.

Il padre di Matilde trovò lavoro come giornalista a “Il Pungolo”; ciò permise alla bambina, di entrare da subito in contatto con un ambiente come la redazione di un giornale, e Matilde ne rimase in effetti positivamente colpita. Ciò nonostante, arrivata all’età di 8 anni non sapeva ancora leggere e scrivere. Imparò molti anni dopo.

A 15 anni, iniziò a frequentare le lezioni della Scuola Normale “Eleonora Pimentel Fonseca”, in piazza del Gesù a Napoli, ma come semplice uditrice in quanto non in possesso di un titolo di studio. Un anno dopo, inoltre, si convertì al cattolicesimo, abbandonando la confessione ortodossa.

Grazie alla sua intelligenza ed alla forza di volontà che la contrassegnava, in poco tempo riuscì a prendere il diploma come maestra e, per aiutare economicamente la sua famiglia, si mise subito in cerca di un lavoro. Vinse così un concorso come ausiliaria ai Telegrafi di Stato, impiego della durata di quattro anni.

Contemporaneamente al suo lavoro, Matilde coltivò la sua passione per il giornalismo e la scrittura in generale, anche se con fatica a causa del poco tempo libero che le rimaneva. Iniziò pubblicando brevi articoli per il Giornale di Napoli, poi le novelle, firmate con lo pseudonimo “Tuffolina”.

Nel 1878, a 22 anni, scrisse la sua prima novella completa, “Opale”, pubblicata dal Corriere del Mattino. 

Quattro anni dopo, Matilde lasciò Napoli e si trasferì a Roma, dove collaborò per più di cinque anni con Capitan Fracassa. In questo periodo, firmandosi “Ciquita”, scrisse di tutto, dalla cronaca rosa alla critica letteraria.

Iniziò a frequentare i salotti mondani della capitale, ma non fu accolta positivamente, a causa dei suoi modi troppo “alla mano”, il suo fisico un po’ tozzo, e una risata molto grossolana. D’altro canto, la sua indipendenza destò molta curiosità, divenendo centro dei pettegolezzi delle signore molto ricche, che non la trattarono mai come una vera scrittrice. In realtà, non era assolutamente così: Matilde Serao, oltre ai suoi lavori come giornalista, nel corso della sua vita scrisse settanta opere.

Nel 1883, uscì il libro che la rese famosa: “Fantasia”. Fu così che entrò in contatto con Edoardo Scarfoglio, che per la rivista letteraria “Il libro di Don Chisciotte”, definì il suo libro:

(…) una materia inorganica, come una minestra fatta di tutti gli avanzi di un banchetto copioso, nella quale certi pigmenti troppo forti tentano invano di saporire la scipitaggine dell’insieme.

Matilde, rispose a questa critica non arrabbiandosi, ma avallando la tesi di Scarfoglio, affermando che effettivamente il suo “non scrivere bene” era frutto degli scarsi studi da lei effettuati, ma allo stesso tempo rispose così:

Vi confesso che se per un caso imparassi a farlo, non lo farei. Io credo, con la vivacità di quel linguaggio incerto e di quello stile rotto, d’infondere nelle opere mie il calore, e il calore non solo vivifica i corpi, ma li preserva da ogni corruzione del tempo.

In seguito a questo “botta-risposta”, Matilde rimase affascinata da Scarfoglio, intraprendendo con lui una relazione che fece scandalo nella “Roma-bene” dell’epoca, anche per la “stranezza” della coppia: lui bello ed elegante e lei tozza e dai modi popolari.

A Febbraio del 1885, la coppia si unì in matrimonio, andò a vivere a Palazzo Ciccarelli e dalla loro unione nacquero quattro figli; nello stesso anno, l’unione di Scarfoglio e Serao divenne anche professionale: insieme fondarono il Corriere di Roma, che però non decollò per la concorrenza con La Tribuna. Successivamente si trasferirono a Napoli, e fondarono Il Mattino.

Nonostante l’impegno della vita matrimoniale e le ben quattro gravidanze, Matilde continuò a scrivere, pubblicando diversi romanzi: “Pagina Azzurra”, “All’erta!”, “Sentinella”, “La conquista di Roma”, “Piccole anime”, “Il ventre di Napoli”, “Il romanzo della fanciulla”.

Nel 1892, iniziò un periodo buio per Matilde: il marito la tradì con una cantante di teatro, la ragazza restò incinta. Abbandonata da Scarfoglio che non voleva lasciare la moglie, partorì la loro bambina e la lasciò davanti alla casa dell’amante. Successivamente si suicidò, destando molto scalpore. Matilde si prese cura di questa bambina, alla quale diede il nome della madre, Paolina.

Qualche anno dopo, esasperata dai continui tradimenti del marito, Matilde lasciò definitivamente Edoardo. La fine del loro matrimonio, sancì anche la fine della loro vita professionale. Matilde lasciò Il Mattino, e si dovette rimettere in gioco nuovamente.

Nel 1903, Matilde conobbe Giuseppe Natale, avvocato, con cui fondò un nuovo quotidiano Il Giorno, diventando così la prima donna ad aver fondato e diretto un quotidiano. Con Natale, Matilde iniziò una relazione e insieme misero al mondo una bambina. 

Dopo diversi anni, rimasta sola, si buttò a capofitto nella scrittura. Matilde Serao morì a Napoli nel 1927, colpita da un attacco di cuore, proprio mentre stava scrivendo.

Tra le sue opere: “Canituccia”, “Alla scuola”, “Un’isterica in collegio”, “Caterina tradita”, “Il figlio della giornalista”, “Terno secco”, “L’estrazione del lotto”, “Le tre sorelle”, “Due monache nel mondo”, e moltissime altre.

Il suo modo di scrivere, colpiva tutti: semplice per arrivare ai lettori, ma troppo semplice per avere giudizi positivi dalla critica letteraria. Matilde però scelse sempre i suoi lettori, adottando uno stile tranquillo e pacato, “popolano”, perchè per arrivare alla gente, sosteneva di dover arrivare prima a sé stessa, la “popolana”.