Per gran parte del secolo scorso, Ernest Hemingway è stato considerato, ancor prima che negli Stati Uniti, il simbolo della letteratura americana del ‘900. Maestro di uno stile terso, asciutto, teso a una rappresentazione picaresca ed epica, a grandi tratti pervaso da una pietà religiosa, giudice e testimone, suo malgrado, di una tormentata e contraddittoria epoca. Soprattutto, modello di una perfetta identificazione tra Arte e Vita, tra scrittura e vicende che lo hanno colpito in prima persona, opere nelle quali striscia silenziosa la tragicità dell’esistenza, la fatalità come condizione dell’uomo.
Le sue storie, parte del patrimonio culturale americano, possono essere considerate la perfetta traduzione di quell’idea che l’odierno edonismo del consumo sta distillando a favore della retorica dell’ispirazione, del sentimentalismo spicciolo o del fanatismo stilistico, per la quale uno scrittore debba raccontare iniziando principalmente da ciò che ha vissuto. Soldato, cacciatore, reporter nelle zone di guerra, appassionato di corride, pugilato, pesca e tanto altro: una vita che gli ha permesso di essere un infaticabile creatore di sé stesso e della sua arte.
Basato, per buona parte, su vicende autobiografiche, Addio alle armi, romanzo pubblicato nel 1929 ma che gli italiani poterono leggere solo dal ’48, perché ritenuto offensivo nei confronti dell’esercito del regime fascista, è uno dei grandi tasselli della sua straripante poetica, un romanzo tragico dove l’amore, a detta della Pivano, non si sottrae al destino di morte che sovrasta tutte le sue creazioni.
Facciamo un passo indietro. Hemingway partecipò alle fasi finali della prima guerra mondiale sul fronte italiano. A seguito di una ferita causatagli da una granata, restò in convalescenza. Decisivo fu l’incontro con l’infermiera americana Agnes Von Kurowski, da cui nacque un forte amore. Questi episodi, arricchiti da un faticoso lavoro di ricostruzione storica, prepararono il terreno all’opera più celebre dello scrittore americano.
Il romanzo è ambientato per gran parte in Italia. La parte centrale descrive la violenta battaglia di Caporetto, mentre il finale è ambientato in Svizzera.
Durante il conflitto mondiale, l’americano Frederic Henry svolge il ruolo di conducente delle autoambulanze. Dopo aver assistito alle mostruosità della guerra, conosce la giovane infermiera inglese Catherine Barkley. Tra i due nasce un rapporto morboso e passionale, segnato alla fine da un tragico avvenimento.
Guerra, amore e morte. Tappa fondamentale per lo sviluppo di quel filone letterario a sfondo bellico, grazie alle indimenticabili pagine che narrano la battaglia di Caporetto, e all’acutezza con la quale vengono trattati i conflitti emotivi ed ideologici tra i soldati durante la guerra, Addio alle armi è il romanzo di un amore che, quasi stoicamente, si rassegna alla crudeltà del destino. Al contempo, il ritratto di un’epoca e delle sue ineffabili contraddizioni, e di quanto diventi misera la vita se violentata da un’arbitraria violenza, senza alcun senso che possa legittimarla.
In quest’opera, che risplende ancora di una delicata e sfuggente bellezza che non cessa mai di resistere ai tempi e alle mode, si trovano condensati i temi che hanno costellato tutta la sua produzione artistica: l’affermazione della vita di fronte alla morte, ma anche il disincanto, lo scetticismo, la fragilità dell’esistenza umana, la repressione del proprio sé, ed una cinica sincerità che illumina il cuore più duro, ma in profondità, come fanno solo le amare e dolorose verità che non vogliamo accettare. Con precisione da dattilografo, anche gli eccessi sembrano stare al loro posto, tutto con una complicata semplicità che nessuno, dopo di lui, è riuscito a ripetere.
Una lettura imprescindibile, non soltanto per gli appassionati lettori, ma anche per chiunque dubiti ancora di quanto la Letteratura, prima di essere tale, sia profondamente ancorata alle nostre vite.
Quasi come se volesse dirci, soffiandocelo in bocca, << la Vita, prima di tutto. >>