(photo credits: Arnaud Meyer)
La vita di Maxence Fermine, scrittore francese contemporaneo originario di Albertville (1968), sembra poter essere descritta in un soffio, attraverso un leggero alito di vento che trapassa le nostre orecchie, lasciando però qualcosa al nostro spirito: una sorta di insegnamento sussurrato all’anima senza il quale ci saremmo sentiti più poveri. Questo è esattamente ciò che accade quando leggiamo una delle sue opere, altrettanto sottili e profonde per quanto dotate di una grazia quasi mistica.
Dopo un’infanzia trascorsa a Grenoble, Fermine decide di recarsi nella capitale francese per iscriversi alla Facoltà di Lettere, che lascerà dopo un anno in vista di un lavoro d’ufficio nel continente africano, precisamente in Tunisia.
È questo il periodo di redazione della sua più straordinaria opera in termini di successo editoriale: il breve romanzo Neve (Neige, 1999; edito da Arléa, pubblicato in Italia da Bompiani nel 1999), tradotto in 17 lingue e ristampato in oltre venti edizioni differenti, conta ben oltre 100.000 copie vendute. Di esso si dice senz’altro che si tratti della sua opera più riuscita e senza dubbio più ispirata, in alcuni casi viene descritto addirittura come un ottimo “paracadute” atto a frenare la caduta libera dell’ispirazione di Fermine.
Checché se ne dica, il volume inizia lo scrittore ad una produzione in grado di reggere al di sopra di ogni aspettativa: viene pubblicato nello stesso anno Il violino nero (Le violon noir, 1999; pubblicato in Francia da Points Seuil, in Italia da Bompiani nel 2001), L’apicoltore (L’apiculteur, 2002; pubblicato in Francia da Le Livre de Poche, in Italia da Bompiani nello stesso anno), Opium (Opium, 2002; pubblicato in Francia da Le Livre de Poche, in Italia da Bompiani nel 2003), quest’ultimo vincitore del premio Murat 2001 “Un romanzo francese per l’Italia”. A conferma del successo ottenuto, i tre volumi vengono racchiusi ne La trilogia dei colori (edito in Italia da Bompiani nel 2003).
Nel frattempo Fermine si trasferisce in Alta Savoia, dove attualmente vive con la famiglia e lavora dal 2010 presso l’Alpes Magazine come reporter.
Per capire a fondo la consapevolezza letteraria che questo scrittore dei nostri giorni ha maturato, dando vita a quello che potrebbe essere un piccolo compendio occidentale della poesia haiku giapponese, riportiamo uno stralcio di intervista realizzata da Mario Melillo per Capasur nel 2011:
La mia letteratura si pone come unico scopo quello di meravigliare, sorprendere e far viaggiare con i pensieri i lettori più sensibili e più attenti tra messaggi iniziatici e figure allegoriche.
Ho sempre pensato che il libro debba essere prima di tutto veicolo di emozioni e che, in alcuni casi abbia persino il potere di cambiare la nostra vita!
Probabilmente non sarei mai stato uno scrittore senza “L’Attrapecoeurs” di Salinger o senza “Il piccolo principe” di Saint-Exupèry.
Il valore più facilmente trasmissibile, a detta di Fermine, è quello corrispondente al canale emotivo: la letteratura come strumento per stupire. Esso dovrà però servirsi dei giusti canali affinché sensazioni così complesse da essere descritte come pensieri giungano al destinatario; la soluzione è quella di condensare e sintetizzare, come in un laboratorio, ogni singolo concetto, distillato grazie allo strumento dell’allegoria.
Grande ammiratore di Calvino, Buzzati e Baricco, descrive la propria giornata-tipo come un cerimoniale all’insegna dell’amore per se stessi e per il mondo, concetto così estraneo al corrispettivo moderno legato alla produttività:
Dunque, la mia giornata tipo consiste nel lavorare dalle 9.00 alle 12.00 e se capita un po’ anche la sera.
Non lavoro mai tutta la giornata!
Sicuramente ciò che più amo è quando l’ispirazione giunge nei momenti più inaspettati in particolare la sera accompagnata da un bicchiere di buon whisky e una sigaretta!
Altre sue pubblicazioni più recenti sono Amazone e la leggenda del pianoforte bianco (Bompiani, 2005), Tango Masai. L’ultimo sultano (Tango Massai, 2005; in Italia pubblicato da Bompiani nel 2006), Il labirinto del tempo (Le labyrinthe du temps, 2006; Bompiani, 2008), Biliardo blues (Billard blues, edito da Albin Michel nel 2003) ed altri volumi non ancora editi in Italia (qui ne riportiamo la lista completa).
In conclusione, lo stile di Maxence Fermine può piacere o meno: sta di fatto che il suo modo di rappresentare realtà solo apparentemente lontane, ma che invece ci riportano al nostro Io più profondo, possono essere assurte a rango di minuscoli, preziosi insegnamenti che gridano un pizzico di amor proprio, ed un tempo che sia quello umano della vita.