Che il mondo in cui viviamo sia stato scelto per caso tra infinite possibilità e sia soltanto qualcosa di provvisorio è un fatto reale e indiscutibile. Ad esempio, se l’attacco dell’11 settembre non avesse avuto un successo così totale, il mondo con ogni probabilità non sarebbe diventato quello che è attualmente. È un pensiero che mi dà sempre una sensazione strana. Il suolo su cui mi trovo, pur essendo dotato di una massa ben reale, può darsi che in quanto realtà sia qualcosa di inadeguato. E probabilmente non sono il solo a provare questo disorientamento.
Da questo disorientamento nasce l’impulso alla scrittura: un modo di “parafrasare la parafrasi” della realtà nella speranza di trovare, in questo incessante movimento a spirale che richiama la filosofia hegeliana, l’eco lontana di una soluzione, o quantomeno di una spiegazione, all’enigma dell’esistenza del mondo. Nascono da questa tensione i romanzi di Haruki Murakami, creatore di mondi che nulla e tutto hanno a che fare con quello reale.
Considerato uno degli autori contemporanei più sorprendenti dell’ultimo decennio, Haruki Murakami è un uomo semplice, schivo, quasi sfuggente. Che ha due grandi passioni, la corsa e il jazz, e che la sera va a letto presto dopo un pasto frugale. Nato a Kyoto il 12 gennaio 1949 e figlio di due professori di letteratura del liceo, trascorre la sua infanzia a Kobe, cittadina incastonata nella baia di Osaka e affacciata sul Pacifico, scenario ideale per dedicarsi alla nascente passione per la lettura. La fine degli anni ’60 lo vede trasferirsi a Tokyo per intraprendere gli studi in letteratura all’università Waseda. M la scelta di calcare le orme dei genitori è nulla dinanzi all’amore: nel 1968 Murakami incontra Yoko Takahashi, che sposerà nel 1971, contro il volere della famiglia che avrebbe voluto che terminasse prima gli studi. Haruki invece lascia l’università e inizia a lavorare presso una stazione televisiva. La monotonia e l’insoddisfazione lo spingono però ad abbandonare il lavoro per tentare di realizzare un piccolo sogno: aprire un jazz bar al centro di Tokyo.
Il Peter Cat vede la luce nel 1974, grazie ai risparmi che la coppia aveva messo da parte e poggiandosi sulla solida base della passione di Haruki per il jazz: è un posto surreale, frequentato da una variegata schiera di avventori, dove è possibile ascoltare musica, sorseggiare caffè di mattina e bevande alcoliche di sera, leggere, incontrarsi o stare in solitudine. Haruki trascorre quegli anni, oltre che lavorando alla tesi, che terminerà laureandosi nel 1975, leggendo, continuando ad amare il jazz e parlando con la gente. Sta accumulando materiale per il suo primo romanzo, che inizia a scrivere nel 1974. “Ascolta la canzone nel vento”, il suo romanzo d’esordio, esce nel 1979, e vince il premio Gunzo come miglior esordiente.
Il jazz è quasi sempre presente come sottofondo immaginario nei suoi romanzi: nascosto tra le pieghe delle pagine più descrittive, dissimulato come grande passione di un personaggio minore, il jazz è una presenza costante, un elemento che Murakami non perde occasione di raccontare attraverso l’altro suo grande amore, la scrittura. Una fluida commistione di arti che nel 2013 è diventata un libro, “Ritratti in jazz”.
Seguono “Il flipper del ’73” (1980) e “Sotto il segno della pecora” (1982), entrambi premiati, ma è con “La fine del mondo e il paese delle meraviglie” (1985, premio Tanizaki) che si afferma come scrittore di professione. Avendo venduto il bar nel 1981, nel 1986 è libero di compiere un lungo viaggio in Italia, tra Roma e la Sicilia. Qui scrive Norwegian Wood, che vende due milioni di copie in un anno e si afferma come un vero e proprio caso letterario.
Murakami si trasferisce negli Usa, in California, dove diventa associato all’Università di Princeton. In quegli anni scrive “Dance Dance Dance” (1988), “A sud del confine, a ovest del sole” (1992) e “L’uccello che girava le viti del mondo” (1996, premio Yomiuri). Ma a consacrarlo davvero all’attenzione internazionale è “Kafka sulla spiaggia”, uscito nel 2005 e considerato dal New York Times tra i 1o romanzi più belli dell’anno. All’uscita di “1Q84” (2009), il suo nome è già nell’olimpo degli scrittori, tanto da essere considerato uno dei favoriti al Nobel per la Letteratura 2012, assegnato poi al cinese Mo Yan, e comunque uno dei vincitori morali del premio. Forse, in uno dei suoi mondi paralleli.
Ma Murakami certo non se l’è presa a male. E continua la sua vita semplice, fatta di piccole abitudini e rituali propiziatori. Una doccia, una tazza di tè. Poi l’attesa. Come un monaco che nel santuario attende l’ispirazione, Murakami attende il sussurro delle anime. Quelle dei personaggi dei suoi romanzi, protagonisti quantomai vivi di quei mondi paralleli che esistono solo grazie al suo talento nel raccontarli. Indipendentemente da quanti leggano e giudichino quel racconto.
Scrivere un libro è un po’ come correre una maratona, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno.