Se qualcuno di voi l’avesse guardata camminare per la strada non avrebbe notato assolutamente nulla di strano in lei. E se ve l’avessero indicata avreste visto solo una ragazza normalissima che camminava sul marciapiede con indosso un cappotto corto e un paio di scarpe da tennis blu. Insomma, una giovane come tutte quelle che vedete passare a decine ogni giorno per la strada.
Forse non vi sareste accorti del modo in cui la sua testa volgeva verso il basso, leggermente piegata in avanti come le fronde dei salici piangenti, mentre i suoi occhi osservavano cautamente ciò che accadeva all’altezza del suolo. E non vi sareste accorti che il suo sguardo non si concentrava sulla strada, bensì sulle scarpe dei passanti che camminavano insieme a lei sul marciapiede.
Conobbi Sara quando entrambe avevamo appena cominciato il liceo, entrambe sole, entrambe nella sezione B. Non ci eravamo parlate per tutto il primo giorno di scuola, ma mentre stavamo infilando i libri nelle borse cariche di fogli, i nostri occhi si incrociarono. Lei sorrise, mi strinse brevemente la mano, e, subito dopo avermi detto il suo nome, mi chiese se mi andava di accompagnarla in stazione. Accettai.
Mentre io passai il tempo a parlare a rotazione senza prendere pause per mascherare la timidezza, lei non diceva una parola e guardava in basso. All’inizio fui infastidita da questo suo comportamento e a metà strada cominciai a maledire il momento nel quale avevo acconsentito a raggiungere la stazione con lei. Mi sentivo a disagio.
Una volta giunte a destinazione, Sara mi guardò sorridendo e proferì candidamente:
“Oh, ti dico la verità: non me ne fregava nulla di venire qui in stazione. Volevo solo vedere come camminavi. E… mi piace il modo in cui lo fai”.
Inizialmente credetti ad uno scherzo e fui lì lì per andarmene, non senza prima averle gridato in faccia qualche imprecazione. Poi Sara mi spiegò il perché di quella buffa spiegazione e da quel momento diventammo amiche.
Le persone cercano disperatamente di inquadrare gli sconosciuti al primo impatto, in modo da capire come comportarsi con loro, come parlare e soprattutto se possono andar loro a genio oppure no: c’è chi osserva l’accuratezza nell’abbigliamento, chi capisce la personalità di qualcuno dopo avergli stretto la mano e Sara, invece, osservava il modo di camminare. Secondo la sua bizzarra visione del genere umano, ognuno ha la sua propria particolarissima camminata e, in base alla maniera in cui uno dirige la punta del piede verso l’interno o l’esterno, a come tiene i lacci delle scarpe (se li ha) o alla forma che prende la suola delle scarpe dopo chilometri e chilometri di passeggiate, è possibile capire molte cose di quella persona.
L’abitudine di osservare come camminano le persone non l’ha mai abbandonata e, anche quando trovò lavoro alla biglietteria della stazione dei treni, aveva ancora la ferma convinzione che osservare il modo in cui camminavano le persone poteva rivelare molto sulla loro personalità.
C’erano le donne che si truccavano con cura e vestivano abiti costosi, ma i loro passi echeggiavano pesantemente e sgraziatamente sulle piastrelle della biglietteria come quelli di un grosso pachiderma.
C’erano uomini che avevano il passo strascicato da pantofolai di mezza età che si alzavano malvolentieri dal divano.
C’erano quelle piccole bambine che consumavano la punta delle scarpette a forza di sporgersi per guardare oltre il vetro delle finestre troppo alte per loro.
Le giornate all’ufficio della biglietteria erano per Sara un modo per affinare la sua capacità di osservare la gente: la stazione dove lavorava era piccola e i clienti pochi, così la maggior parte della giornata lei se ne stava seduta a guardare i viaggiatori che aspettavano il treno fuori dal suo gabbiotto. Si divertiva un sacco e a fine giornata mi faceva sempre il resoconto di tutti quelli che aveva osservato durante le sue lunghe ore di attesa.
Una sera, però, mi accorsi dalla sua voce al telefono che qualcosa era cambiato. All’inizio non le chiesi nulla, ma mano a mano che le giornate passavano mi resi conto che la mia amica non stava molto bene: le persone che mi descriveva erano sempre meno e dopo appena venti minuti chiudeva bruscamente la comunicazione, mentre di solito non c’era giornata in cui rimanessimo a parlare meno di tre quarti d’ora. Quando provavo a chiederle cosa le fosse successo si chiudeva in un cupo mutismo, oppure cambiava argomento e tono di voce, raccontandomi palesi bugie.
Scoprii cosa aveva Sara solo perché un giorno non riuscì più a reggere il gioco: scoppiò a piangere al telefono perché non sapeva più a chi raccontare quello che le stava accadendo. Mi rivelò ogni cosa e non riuscii a reprimere un dolce sorriso di tenerezza quando la mia amica mi confessò quello che davvero le stava accadendo.
Semplicemente, si era innamorata.
Lui, la sua nuova fiamma, era un giovane studente che un paio di volte a settimana veniva a comprare i biglietti del treno per raggiungere l’università: portava un paio di scarpe da ginnastica blu e rosse ed il suo passo era discreto, tutto il contrario delle falcate baldanzose dei giovani che Sara osservava di solito. I suoi passi risuonavano appena nelle piastrelle della biglietteria e le suole in gomma scricchiolavano leggermente quando lui attraversava la porta d’uscita per raggiungere il binario. Sara era rimasta affascinata dal modo in cui piede sinistro e piede destro si alternavano ordinatamente senza sporgersi troppo all’esterno o all’interno, dalla sicurezza con cui il ragazzo poggiava le scarpe a terra. Non aveva mai visto nessuno camminare con così tanta determinazione e grazia.
Quando il ragazzo si avvicinava allo sportello, Sara diventava rossa e cominciava a balbettare: nonostante la sua reazione fosse decisamente poco professionale da parte di un’impiegata delle Ferrovie dello Stato, lui non aveva mai detto nulla a riguardo. Chiedeva solo un biglietto di andata e ritorno per Venezia-Santa Lucia e si congedava con un sorriso, non senza prima lanciarle un breve sguardo.
La mia amica non trovava il coraggio di parlargli, così si limitava ad osservarlo da lontano con l’aria delusa, delusa da se stessa e dalla sua maledetta introversione che la limitava sempre nei rapporti umani.
Quella sera in cui mi rivelò tutto, le consigliai l’unica cosa che aveva senso fare. Lei lo sapeva già, ma aveva solo bisogno che qualcuno glielo dicesse a voce alta per darle quel pizzico di coraggio ed incoscienza che le erano mancati fino a quel momento.
Il giorno successivo la nostra telefonata, il ragazzo con le scarpe da ginnastica blu e rosse scese dal treno e raggiunse la biglietteria per acquistare il solito biglietto. Sara si fece coraggio e gli parlò: non disse nulla di particolare, si presentò e gli chiese dove studiava, di dov’era, quanti anni aveva. Lui le rispose garbatamente e insieme scherzarono per un quarto d’ora. Poi Sara diede un’occhiata veloce all’orologio sopra la sua testa.
“Ti sto rubando tempo, scusa”, disse il ragazzo.
“Per niente, anzi… Ora ho finito il turno”.
“Beh, allora… potresti accompagnarmi fino al mio motorino, se ti va. È parcheggiato qua fuori”.
Lei accettò l’offerta, con il cuore che le batteva prepotentemente contro il petto, così tanto da farle male. Si cambiò di fretta e quando finì di darsi una rassettata davanti allo specchio, le farfalle nel suo stomaco avevano già preso il volo e sbattevano tra di loro forsennatamente come se stessero ballando una furiosa danza tribale.
Lui l’aveva aspettata lì, all’entrata della stazione, con lo zaino colmo di libri poggiato su una spalla. Sara parlava e lui annuiva distrattamente, mentre camminavano verso il parcheggio dei motorini.
Lui però non disse nulla.
Quando arrivarono al parcheggio, il primo a parlare fu lui:
“Beh… sai, in verità io il motorino non ce l’ho”.
“E…?”.
“Volevo solo vedere come camminavi”.
Come potete immaginare, la storia finì bene. Sono passati mesi ed ora, se io vi indicassi la mia amica che cammina sul marciapiede, la vedreste mano nella mano con un ragazzo che tiene la testa chinata in avanti e lo sguardo rivolto verso il basso, proprio come Sara. Ogni tanto, però, i loro volti si rialzano e i loro occhi si cercano, si aggrappano gli uni agli altri e le loro labbra si allargano in un sorriso.