Trieste, 1883: nasce un “grande” della letteratura italiana, Umberto Saba. Proveniente da una famiglia benestante, di religione ebraica, e abbandonato molto presto dal padre, Saba non visse periodi particolarmente felici. L’infanzia non fu semplice. L’unica nota positiva fu la sua balia che lo allevò come un figlio e che lui definì la sua “madre di gioia”.
L’evento però, che sicuramente segnò maggiormente la sua vita, fu la persecuzione razziale di cui egli stesso fu vittima, in quanto ebreo.
I suoi studi non furono brillanti: si iscrisse al Liceo Classico “Dante Alighieri”, dove frequentò il ginnasio. Successivamente gli fu sconsigliato di proseguire. Iniziò allora a frequentare l’Imperial Regia Accademia, che lasciò quasi subito. Nel 1903 però, si rimise nuovamente sui libri, iscrivendosi all’Università di Pisa, frequentando corsi di archeologia, latino e tedesco. Un periodo di forte depressione, lo portò a far ritorno a Trieste.
Due anni dopo, pubblicò per il quotidiano di Trieste “Il Lavoratore”, il resoconto di un viaggio a piedi in Montenegro. Fu nello stesso momento che entò in contatto con molti circoli di giovani intellettuali dell’epoca, al “Caffè Rossetti”, luogo di ritrovo per eccellenza della sua città.
Nel 1907 partì per il servizio militare a Salerno, esperienza dalla quale nacquero i “Versi militari”. Un anno dopo, tornato a Trieste, conobbe Carolina Wolfer, che sposò e della quale ebbe una figlia.
Nel 1911 pubblicò il suo libro “Poesie”. Due anni dopo, tradito dalla moglie, si trasferì a Bologna, dove iniziò a lavorare per il quotidiano “Il Resto del Carlino”, e successivamente a Milano.
Nonostante non particolarmente interessato alla politica, iniziò a collaborare per “Il Popolo d’Italia”, diretto da Benito Mussolini.
Fu nel 1922 che pubblicò la prima edizione del “Canzoniere”, raccolta di tutte le sue poesie. La critica letteraria iniziò a considerarlo un vero scrittore, e la fama e il successo cominciarono ad arrivare.
Nel 1938, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, a causa della persecuzione razziale fu costretto ed emigrare prima a Roma, poi a Trieste. Durante questo difficile periodo, strinse una forte e profonda amicizia con Montale. È di questi anni la raccolta “Ultime cose” che sarà aggiunta nel 1945 alla stesura finale del “Canzoniere”, edita da Einaudi.
Negli anni che seguirono la guerra, Saba si trasferì a Milano per lungo tempo e qui collaborò con il “Corriere della Sera”. Questo periodo fu molto intenso: vinse diversi premi, tra cui il Premio Viareggio, il Premio Taormina e il Premio dell’Accademia dei Lincei; nel 1953, gli fu conferita la laurea honoris causa dall’Università di Roma.
Morì il 25 Agosto del 1957, malato e addolorato per la scomparsa della moglie, avvenuta nove mesi prima.
La sua fragilità psichica, i problemi dell’infanzia, la guerra, sono elementi che hanno caratterizzato fortemente il suo modo di scrivere. In tutte le sue opere si possono cogliere sfumature malinconiche, il raccontare molto spesso la sua vita, talvolta con parole che mettono in risalto il turbamento di quegli anni. Ma, allo stesso tempo, troviamo elementi di semplicità e il racconto chiaro e appassionato della quotidianità, che fanno pensare che le opere siano scritte “apposta per farle capire ed amare da tutti”.
Alcune tra le sue tantissime opere: “Coi miei occhi” (1912), “Cose leggere e vaganti- L’amorosa spina” (1920), “Preludio e canzonette” (1922), “Autobiografia. I Prigioni” (1923), “L’uomo” (1926), “Tre composizioni” (1933), “Poesie dell’adolescenza e giovanili” (1949), “Ernesto” rimasto incompiuto e pubblicato postumo, in cui Saba affronta il tema dell’omosessualità. Successivamente alcuni affermarono che questo argomento riguardasse molto da vicino l’autore.
La bellezza e la profondità delle opere che ci ha lasciato Saba, sono rare e colpiscono tutti, dalla persona più umile a quella più altolocata. Il racconto di una vita vissuta, i problemi, le ingiustizie provate sulla sua pelle e descritte nelle sue opere, riportano la mente ad eventi e ad una storia dura, difficile da comprendere, ma che, nonostante ciò, può comunque lasciare qualcosa di bello a chi la legge.