Amor che ne la mente mi ragiona
amor che ragiona
che risuona
nell’anima
nel corpo-cuore
e nell’asse di cristallo
vieni con me passeggia con me
lungo il mare
coi granchi
amor che mi fai pensare
e mi svii ogni pensiero
mi porti frammenti di lui
frammenti passati
ma sorti presenti
immortali:
voce frettolosa nel corridoio
la mano che stringe la mano
nel sonno
oppure selvaggio dal volto severo
senza rispondere.
Jacqueline Risset
Versi dal sapore moderno con un retrogusto medievale.
Prendiamo in prestito alcuni termini del linguaggio culinario per introdurre una poetessa, critica e traduttrice contemporanea, Jacqueline Risset, francese di nascita, ma che vive e lavora in Italia. È infatti docente di letteratura francese all’Università degli Studi Roma 3, oltre che un’esperta e rinomata dantista.
Il medioevo poetico, oggetto fondamentale degli studi della Risset, ritorna anche nella raccolta che contiene questo componimento,“Amor di lontano”, espressione che è tema cardine del canto della poesia dei trovatori. L’antico motivo viene però rivisitato e filtrato attraverso l’esperienza poetica novecentesca, dando un risultato sorprendente e suggestivo.
Nei versi proposti la protagonista di rivolge direttamente all’Amore, che si personifica, quasi si materializza.
Dunque si interroga l’Amore e ci si interroga sull’amore come da sempre e probabilmente per sempre ci si interrogherà. L’amore nelle sue infinite sfaccettature, nei suoi molteplici linguaggi, nelle sue mutabili forme.
Amore che accende e nel contempo offusca la ragione, che sussulta nel cuore, che immobilizza gli arti.
L’amore che ha il potere di introdurre la riflessione e il calcolo nella mente, ma che puntualmente fa fallire ogni logica, facendosi, al contrario, veicolo di soli dubbi e perplessità.
Amore che è anche precarietà e fugacità, è istante che come un fulmine attraversa la nostra vita, noncurante delle conseguenze che inevitabilmente avrà o dei cambiamenti che apporterà.
Ecco che allora la Risset parte da lontano, da quell’amore indagato dalla poesia trobadorica per arrivare a immagini a noi familiari e vicine.
Quasi a voler ribadire che il tempo cambia il modo d’esprimersi, la forma forse, ma certamente non la sostanza.