«Il vento con le sue lingue | lambisce le piante moribonde; | ne le soprastanti gronde | un piano sorbire si distingue».
Nato a Tàmara (Ferrara) il 29 ottobre 1884, Corrado Govoni proveniva da un’agiata famiglia di agricoltori, tanto che ben presto iniziò a lavorare nell’azienda familiare. Giovanissimo, nel 1903 esordì pubblicando le prime raccolte con cui fu inserito tra gli iniziatori del Crepuscolarismo: in esse vengono rappresentate tutte le situazioni esistenziali, nel segno di una poetica capace di esprimere una vita più semplice e dimessa.
Se nel primo libro, Le Fiale (1903), Govoni rimase ancorato alla forma del sonetto, nella raccolta successiva, Armonia in grigio et in silentio, la ricerca di una musicalità crepuscolare mostra una relativa apertura delle forme metriche. A partire da Gli Aborti (1907), l’autore impiegò il verso libero, permettendo un fluire ininterrotto di immagini; inoltre, l’esigenza di libertà della parola e l’attenzione riservata ai molteplici aspetti della realtà, tra cui anche quelli relativi al nuovo mondo industriale, indussero lo scrittore ad aderire al Futurismo. In seguito al trasferimento a Milano, infatti, Govoni cominciò a frequentare Filippo Tommaso Marinetti, aderendo con entusiasmo al suo movimento. Esiti di questa nuova poetica furono: Poesie elettriche (1911), L’inaugurazione della primavera (1915) e Rarefazioni (1915); tuttavia, come l’autore stesso affermò più volte, l’adesione al Futurismo fu perlopiù “un gioco”. La poesia di Govoni rimase infatti ispirata alla natura e alla realtà che lo circondava; in particolare, ne L’inaugurazione della primavera (1915), l’autore attinse ad un Crepuscolarismo più intimo e personale per esprimere al meglio il rapporto tra sensazioni e cose.
Nel 1916 Govoni collaborò con la rivista napoletana Diana e, nello stesso anno, fu costretto a vendere i propri poderi, dedicandosi così a varie attività. Nel 1919 si trasferì a Roma, dove ottenne un impiego al Ministero della Cultura popolare; il primo periodo letterario si concluse con la pubblicazione della raccolta curata dallo scrittore stesso, intitolata Parole Scelte (1920). Successivamente, l’autore fu segretario del Sindacato Nazionale Scrittori e Autori e, dopo essersi distaccato dal Futurismo, Govoni continuò la pubblicazione di opere in cui si assiste ad un abbandono musicale e coloristico più tenue: Canzoni a bocca chiusa (1938); Govonigiotto (1943); Aladino (1946), memoria del figlio ucciso alle Fosse Ardeatine; Preghiera al trifoglio (1953).
Nel dopoguerra, trovandosi in precarie condizioni economiche, l’autore trovò impiego presso un ministero come protocollista; in seguito diresse la rivista Il sestante letterario a Lido dei Pini, vicino a Roma. Qui egli morì il 20 ottobre 1965.
Nei suoi numerosi scritti, Govoni accumulò un eccezionale repertorio di immagini, basato sulla capacità di vedere e di tradurre le visioni in parole inarrestabili. Scopo dello scrittore era infatti quello di volgere in poesia tutto ciò che compone il mondo esterno; in questo modo egli produsse nuove configurazioni di immagini e di suoni, aprendosi verso territori della realtà sconosciuti, tanto che alcuni hanno ravvisato nello stile e nella poetica di Govoni un’ «inaugurazione» del linguaggio poetico novecentesco. L’adesione al Crepuscolarismo e al Futurismo è stata determinata dalla volontà di esprimere il flusso musicale che l’autore avvertiva in ciò che lo circondava; caratteristica della sua poetica fu inoltre la curiosità per una realtà in cui si mescolano codici diversi: basso e sublime, passato e futuro, quotidiano ed eccezionale. Infatti, scoprendo la mancanza di organicità nel reale e la libertà delle cose e delle parole, lo scrittore tentò di esprimere ogni impressione sempre mediante un continuo accumulo di immagini e di particolari.