Rispetto agli altri due giganti della letteratura russa dell’800, Dostoevskij e Tolstoj, l’opera di Turgenev non ha da proporre né una filosofia della Storia, né una rivalutazione del messaggio cristiano, tanto meno offrire soluzioni alla crisi esistenziale dell’uomo moderno. La sua visione del mondo è anzitutto scettica nei confronti di ogni pensiero totalizzante, dal Cristianesimo alle varie soluzioni socialiste, così come vi è in lui il rifiuto di assegnare alla Russia un ruolo nella grande famiglia delle potenze mondiali, o una missione storica. Anche il suo riformismo liberale sembra ritrarsi in secondo piano di fronte a un più disincantato pessimismo.
Pertanto, se percorriamo tutta la sua opera letteraria non sarà difficile constatare che i suoi romanzi non hanno fatto altro che seguire tutte le più importanti e decisive fasi dell’evoluzione politica e sociale della Russia, per almeno un trentennio. I suoi personaggi vivono tutt’ora di un’esistenza autonoma, eppure sembrano riflettere, senza eccessi, lo spirito di un’epoca, tramutando lo scrittore ideologicamente disimpegnato per eccellenza in uno dei più acuti storiografici del secolo.
Ciò che possiamo dire con certezza di Turgenev è prima di tutto circoscritto al dato estetico. Lo scrittore russo è stato uno dei più grandi narratori dell’800. Le contese ideologiche e le vicende politiche e sociali del tempo sono emanazioni marginali della sua opera, ma Turgenev non ha esitato a creare una collezione di cronache familiari di ampio respiro, non solo esistenzialista, nelle quali ci sembra di cogliere, tra le pagine, delle istantanee intime ma perfettamente ritratte della borghesia russa e delle sue contraddizioni, quest’ultimi corollari di una decadenza spirituale. Tale concisione d’intenti non ha mai sofferto di alcuna sbavatura, tutto è armoniosamente correlato. Ogni digressione è sempre subordinata al quadro d’insieme, e questo ammaglia le sue opere e la sua scrittura di un’incredibile modernità.
Non ultima per importanza è del resto la sua raffinata ironia. Dietro alle innumerevoli annotazioni, apparentemente frivole e umoristiche, che ritraggono aspetti fisionomici, arredamenti o capi d’abbigliamento, si nasconde l’intento di evidenziare una connotazione sociale, un tratto caratteristico dei costumi di un popolo o della personalità di un individuo, tutto con grande precisione e profondità psicologica.
Tali aspetti di questa letteratura così feconda sono tutti raccolti in quello che possiamo definire il capolavoro di Turgenev, Padri e figli, romanzo che deve l’inesauribile fama di classico grazie al suo intramontabile personaggio, Bazarov il nichilista.
Conato vivente di ogni forma di potere istituito e valore convenzionale, Bazarov è stato visto da molti intellettuali del tempo come il nuovo riedificatore della società, prodotto del nuovo materialismo. Tanti altri, invece, nutrirono grande ammirazione per la sua visione tragica dell’esistenza e l’inclinazione stoica alla vita. Tuttavia resta intatta, a discapito delle tendenze intellettualistiche dell’epoca, che vedevano nell’opera più un prodotto ideologico che artistico, la pretesa di universalità, ovvero il tentativo di Turgenev di personificare il perenne conflitto tra la conservazione dei padri e la contestazione dei figli, il passato che muore e un futuro che avanza, attraverso la lotta ideale e violenta del presente.
La letteratura di Turgenev è la risultante di due esigenze: rendere testimonianza degli uomini e del loro vivere quotidiano, intesi come unici protagonisti della storia, ma al contempo sottoporli a un giudizio che lucidamente li riporti alla loro vera essenza.