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Pablo e Priscilla

«È grande chi dona felicità con un piccolo regalo». Vigilia di Natale 2013, casa della nonna come da tradizione, ore 22 e un po’. Zuppa di pesce andata, salmone affumicato, anguilla, gamberi gamberoni e gamberetti, vongole, baccalà – ah, il baccalà -, moscardini e lumache. Lumache sì, le lumache per la Vigilia sono l’eccezione che conferma la regola del pesce. Panettone al cioccolato, torrone, croccantino, cioccolatini: mancano frutta, frutta secca e caffè, poi arriva il tanto atteso momento dell’apertura dei regali. Tanto atteso da sempre, da tutti, anche se per motivi sempre diversi. Tanto atteso da me e mio fratello da bambini, chiaramente. Tanto atteso da mio papà ora come allora, giusto perché significa che è quasi ora di tornare a casa. Tanto atteso da mia nonna e grazie a lei, ora, dopo qualche anno di pausa indifferente, da me e mio fratello di ritorno: giusto per osservarla. Mentre scarta i suoi regali, mentre noi scartiamo quelli della zia e lei borbotta dietro quel faccione che dopo il caffè della cena del 24 dicembre si trasforma, lentamente, in quello di un Bulldog: con gli angoli della bocca che scendono trascinando con loro guance e occhi, come se le aspettative cresciute nei 364 giorni appena trascorsi venissero di colpo deluse. Puntualmente, ogni anno. Puntualmente, anche quest’anno. Sebbene il suo di regalo, l’avesse già fatto cambiare alla zia lo stesso pomeriggio. Ore 22 e un po’ dicevamo, panettone andato e scarto un cioccolatino, un Bacio Perugina bianco, prima del caffè. «È grande chi dona felicità con un piccolo regalo», recita il bigliettino avvolto nella carta del mio Bacio. Quanto è vero, penso io. Io che ci tengo ai regali, a sceglierli, a riflettere, a perderci anche un sacco di tempo. Quanto è vero. Anche se subito il pensiero vola alla nonna, all’ennesima scena di disagio a cui assisterò poco dopo, a come lei di certo in questo senso non aiuti nessuno ad esser grande. Lei che del cambio-regalo ha fatto, negli anni, la ragion d’essere di Natali e compleanni, suoi e dei parenti, lei che tanto quella soddisfazione non ce la darà mai, soprattutto alla zia. Quanto è vero, anche se grande in effetti non lo sei a prescindere, lo diventi guardando gli occhi di chi scarta il tuo regalo e sinceramente lo apprezza, lo diventi quando arriva la conferma di una certezza che in fondo avevi già, perché in quel regalo, nella sua scelta e negli abbinamenti, hai messo tutto te stesso. Hai scelto la giusta via di mezzo tra il tuo gusto e quel che piace a chi scarterà il pacchetto, qualcosa che sia simbolo del vostro legame o della nuova piega che vorresti prendesse il vostro rapporto, ti sei impegnato e la certezza l’avevi già nel negozio mentre cercavi in borsa il portafogli. Grande ti ci senti ancora, dopo un brivido di timore, con la Prova del Nove dell’apertura del regalo. Grande davvero.

Ore 22 e un po’ e la mia ansia da prestazione, mentre scarto quel cioccolatino, l’ho abbandonata da un po’. Con gli ultimi acquisti del primissimo pomeriggio. Gli ultimi dettagli, importanti quanto i pezzi grossi dei regali. Ansia da prestazione da regalo, ne soffro davvero. Raccolgo le idee per mesi e, arrivata al momento dell’acquisto, vengo assalita dai dubbi. Dubbi buoni, dubbi belli, quelli che ti vengono perché in quella decisione hai messo tutta te stessa – che non può capire chi ha fatto suo il motto «prenditi quello che vuoi» o la domanda «cosa ti prendo?». Ansia da prestazione che mi fa sentire grande davvero, quando immancabilmente realizzo che gli altri quell’impegno per me non l’hanno messo. Certo poi il fastidio del regalo comprato tanto per fare lo maschero meglio della nonna, anche se prima o poi arriva il momento in cui riverso su qualcuno la mia rabbia. Ansia da prestazione passata stavolta nel momento in cui, soddisfatta, uscivo dal negozio di animali con un trasportino per il mio coniglio e un pacchettino che conteneva una pallina bianca e azzurra e una confezione di biscottini per il nuovo, nuovissimo, cane della ragazza di mio fratello. Lei non ci sarà a cena, ma il cagnolino arrivato a due giorni da Natale mi ha servito su un vassoio d’argento il pretesto per un regalino. Qualche ora dopo, uscendo per raggiungere casa della nonna, raccolgo pacchetti e borse e faccio un resoconto di ciò che devo portare con me. La maglia dei Rolling Stones – e qui, avrei da scrivere un altro racconto – e le gocce calmanti per la zia, la piantina per la nonna, foulard e whiskey per papà – che certo non li gradirà allo stesso modo -, Nike Blazer per mio fratello, stampini per biscottini, fiaba di Sepúlveda e grattacalli per la mamma, inseguo il coniglio per metterlo nel trasportino – il suo regalo, così lo porto con me -, scendo e salgo in macchina. Tranquilla, in macchina, ma avrò preso tutto? In macchina: «Pablo!» Pablo, gli dico. «Non ho preso niente per Pablo!». Il mio ragazzo mi fa notare che Pablo non se la prenderà, non è un tipo permaloso. Non mi do pace: se il coniglio ha un trasportino e un cagnolino di due giorni ben due regalini, anche Pablo deve avere qualcosa da scartare. E ora? Sono passate le 20 della Vigilia di Natale e certo negozi aperti non ce ne sono. E ora? E Pablo? Pablo, Pablo è il cane dei miei genitori, o di mio fratello: un meticcio con stazza da bisonte e la forza di un cavallo. Un cane simpatico, spesso non eccessivamente sveglio. Pablo non ha un regalo, non è permaloso davvero, anzi: ma per questo si merita di restare senza regalo? Un lampo. Guardo in basso, tra i miei piedi, oltre la piantina che tengo sulle gambe. Squicky guarda spaesato dalla nuova gabbietta. Squicky è il mio coniglio e Squicky è il suo nome d’arte: Priscilla la Regina del Deserto è il suo vero nome. Chiaramente è un maschio, spiego sempre che non volevo crescesse con dei pregiudizi: quindi l’ho chiamato come un musical a tema transessuale. Biasimatemi. Guardo Squicky, sembra capire e si volta di scatto. Squicky ha capito, Squicky sarà il regalo di Pablo. «Squicky? Vuoi darglielo come un croccantino?».

Voglio che Squicky sia il suo regalo, il suo amico per una sera. Poi chissà, forse anche per i giorni a venire. Mi fido di entrambi e credo si piaceranno, non ci sarà paura, né indifferenza; forse un po’ di disagio iniziale. Mi fido, entro in casa della nonna, sistemo pacchetti e piantina, appoggio il trasportino, tolgo il piumino e mi siedo per terra. Pablo è arrivato prima di noi, si sta già avvicinando. Scoperchio la gabbietta, Pablo annusa. Squicky è paralizzato, me lo aspettavo. L’attrazione della serata si è già manifestata, tutti arrivano intorno a noi e guardano, sorridenti. Ognuno con una chiara opinione contro o a favore della novità. Nessuna fuga, nessuna corsa, nessun attacco di panico. Tutto tranquillo, lasciamo che facciano conoscenza. Ci sediamo a tavola e iniziamo col pesce, con un occhio rivolto alla coppia che si sta formando ai piedi dell’albero di Natale. Tutto tranquillo, per mezz’oretta almeno nessuno dei due osa più di tanto. Squicky da un colpetto con la testa, una leccatina; Pablo fa un verso, cambia fianco, ogni tanto tenta di alzarsi. Rischio zuffa scongiurato, lasciamo che il tempo faccia il suo corso e ci lasciamo distrarre dalle piccole, consuete liti natalizie. Qualche minuto ed ecco Squicky che esce dalla gabbietta, si guarda attorno, una controllatina all’albero e ai pacchi lì sotto, una grattatina; Pablo si sveglia di colpo, si alza e con lui le sue orecchie, si avvicina cauto, poi è un attimo: Squicky parte, inizia la corsa, sotto al tavolo, intorno al tavolo, tra le nostre gambe, dentro il trasportino e ancora fuori, sotto le sedie, intorno all’albero, tre minuti, quattro, cinque. Li incitiamo, ridiamo. Ridiamo di cuore come capita di rado a quel tavolo. Non scappa Squicky, volesse nascondersi saprebbe come fare, stanno giocando. Pablo non ha mai conosciuto un coniglio e Squicky ha all’attivo un unico cane, che un paio di volte l’ha terrorizzato. Li fermiamo, per allontanare la possibilità di un attacco cardiaco, la scenetta si ripete altre due o tre volte durante la serata. Ci distrae anche dall’arrivo della depressione da apertura regali della nonna.

allora grande. Grande io? Grande Pablo, lui sì che l’ha apprezzato il suo regalo, facendomi sentire grande, grande davvero. Anche al mattino dopo quando, mentre osservo un coniglio più calmo che mai, arriva la telefonata di mia mamma: «ti chiamo per farti gli auguri, ma soprattutto per dirti che Pablo è depresso, non mangia, non si alza, credo che gli manchi». Arrivo, porto Squicky.