Lui è Guido Catalano, classe 1971, barba folta, un accappatoio per giubbotto, occhiali alla Blues Brothers e una trombetta rossa che istiga alla morte. Perchè è anche di questo che parla il suo ultimo libro “Piuttosto che morire m’ammazzo” (Miraggi Edizioni): 152 pagine piene di morte, vita e speranza. Pagine che non vogliono rispondere alle domande che Catalano si pone da anni prima di andare a letto o mentre fa la pipì nei bagni da lui frequentati, ma che raccoglie semplicemente l’ultimo anno e mezzo della sua esistenza, come tiene a precisare nella presentazione del libro.
Dopo aver assistito ad uno dei suoi famosi reading (dove è doveroso essere idratati, ma anche pronti ad essere partecipi del suo modo di fare poesia) ho preso coraggio e mi sono decisa a riempire i suoi già citati momenti di riflessione con altri, esistenziali domandoni.
D: Torinese di nascita, cittadino del mondo di fatto. Giri l’Italia in lungo e in largo per raccontarti e raccontare le tue poesie e le storie che ci sono dietro. E’ un approccio sempre timido, quasi timoroso. Eppure, da quando ti leggo, non ti sei fermato una volta. Quanto è importante per te il concetto di “reading letterario” e quale rapporto cerchi o speri o brami si instauri con il tuo pubblico?
R: Il reading è essenziale per diversi motivi. Inizialmente è stato l’unico modo che ho avuto per farmi conoscere dal pubblico. Una dozzina di anni fa, o anche più, non esistevano i social network e dunque decisi che quello era il modo migliore per avere un rapporto diretto con la gente. Pubblico che poi è diventato lettore. Prima ascoltatore, poi lettore. Oggi il reading è parte del mio lavoro. Dunque mi serve anche per pagarmi l’affitto e le sigarette. Anzi no, le sigarette no che ho smesso di fumare.
D: Laureato in Storia del Cinema, sotto la voce choosy un passato come portiere di un residence e oggi la poesia. Lo diventi per caso o lo sei da sempre?
R: Portiere di residence lo sono stato da sempre. O meglio da quando avevo dodici anni che volevo fare il portiere. Ma di calcio. Poi ho avuto
l’arresto della crescita e non ho potuto fare il portiere di calcio e ho fatto quello di residence. Poeta, si nasce e non si diventa. Anche se io volevo fare la rock star. Però mi accontento.
D: “Piuttosto che morire mi ammazzo” è si, una raccolta di poesie, ma anche e soprattutto uno stralcio di vissuto della tua vita. Di quale periodo parli nel tuo libro? Che cosa facevi, cosa pensavi?
R: Questo libro parla dell’ultimo anno e mezzo circa della mia vita ed è la naturale continuazione di “Ti amo ma posso spiegarti”, libro precedente sempre edito da Miraggi. In pratica è un unico libro diviso in due, dentro il quale, o i quali, in effetti si parla degli ultimi tre anni
circa della mia vita. O almeno credo. Anni di abbastanza solitudine. Di soddisfazioni lavorative. E anche sessuali, non lo nego. Amore poco. Salute, speriamo.
D: Tanti i fili conduttori delle 152 pagine del tuo libro, spesso in lotta fra di loro. Quali, fra le poesie, possono essere manifesto della
malinconia, della speranza, della vita e della morte?
R: Non credo di sapere rispondere a questa domanda. So per certo che in questo libro c’è parecchia speranza, abbastanza morte, un po’ di
malinconia e molta vita.
D: Uno, però, è il tema che più di tutti si afferma prepotentemente nel tuo libro, quello dell’amore. Parlaci dell’amore secondo Guido Catalano.
R: Come dicevo prima, di amore, con la a maiuscola e anche con la m maiuscola, anzi, tutto maiuscolo, negli ultimi anni, non molto. Spero
torni. Non so bene dove se ne sia andato. Ma so che da qualche parte c’è. Cioè, non è morto. Forse si è perso. D’altra parte da quando se n’è
andato faccio molto più sesso. Stranezze della vita.
D: Interessanti sono, nel tuo libro, i moltissimi dialoghi tra donne e uomini che non hanno nome nè età. Sono discorsi immaginari o avvenuti
realmente?
R: Ho raggiunto la conclusione che i dialoghi in questione siano la parte femmina di me che parla con la parte maschio. Sono diviso in due. Come tutti d’altronde. Quindi sono io che parlo con me stesso. Credo mi serva per non impazzire troppo. È un’ottimo modo per non impazzire fare dialogare le parti del tuo cervello.
D: Quale libro hai sul comodino al momento? E su quali letture ti orienti, di solito? Cosa consigli ai lettori? Quali poeti e scrittori ti
hanno ispirato e continuano a farlo tutt’oggi?
R: Sto leggendo “Il soccombente” di Thomas Bernhard. Mi sta piacendo molto. Ho da poco conosciuto e letto un poeta americano bravissimo che si chiama Billy Collins. Lo consiglio vivamente. Leggo di tutto e in maniera confusa. Mi baso molto sui consigli degli amici. Amo l’horror e la fantascienza. Leggo parecchia poesia, soprattutto ultimamente. Tra i miei ispiratori Prevert, Jacovitti, Bukowski, Woody Allen, Mogol-Battisti, e potrei andare avanti così per almeno altre cinque righe.