Il giorno in cui il professor Humbert ricevette un mazzo di rose rosse era un martedì.
Fuori pioveva a dirotto, da giorni la città era colta da un maltempo che rendeva tutto insopportabile. Il ronzio delle luci al neon in aula, il rumore del gesso che scrive sulla lavagna, le facce addormentate dei suoi studenti. Persino le pagine del manuale di filosofia che venivano sfogliate – un rumore che aveva sempre trovato incredibile, piacevole.
Mentre stava raccontando della storia d’amore tra Sartre e la Beuvoir – non che l’avrebbe chiesta all’interrogazione, ma perché non aggiungere un po’ di gossip alla lezione?, si domandò tra sé e sé – bussò alla porta dell’aula la bidella.
“Queste rose sono per lei, professore.”
“Grazie. Ma non si rende conto che sta disturbando la mia lezione?”, domandò spazientito Tom Humbert.
Gli occhi degli alunni si illuminarono all’improvviso di una luce, curiosa e maliziosa. Tom poteva quasi udire i ghigni dei suoi studenti, immaginare gomitate e sguardi divertiti.
Uuh, il professore ha ricevuto dei fiori!
“Lo so, ma la signora che li ha portati voleva assolutamente che glieli consegnassi ora. Mi dispiace.”
La donna uscì dall’aula chiudendosi la porta alle spalle.
Nell’aula calò il silenzio, e le posture degli alunni ritornarono quelle di sempre: un gomito sul banco a sorreggere la testa e la schiena curvata in avanti.
Il professor Humbert scrutò il mazzo di rose che teneva in mano: erano rose fresche, appena comprate. Si capiva dal rosso acceso, dal profumo intenso e delicato.
Cercò un bigliettino, una lettera, qualcosa che indicasse scritto il nome del destinatario. Pensò a chi potesse essere stato, mentre con le mani si faceva strada in mezzo a tutte quelle bellissime rose, ben attento a non pungersi con le spine.
Sua moglie? Oh no, Susan non avrebbe mai fatto una cosa del genere… Certo, non era da escludere al cento per cento ma…no, figuriamoci. Quand’era stata l’ultima volta che si erano regalati qualcosa? A Natale, forse? Ma sì, certo, lui le aveva comprato la macchinetta per fare il pane e lei una cravatta. Cravatta che tra l’altro non aveva ancora indossato.
Sua figlia? Nemmeno. Elizabeth non lo avrebbe fatto nemmeno per un ragazzo. E poi se anche fosse stato il tipo di persona…perché a lui, a suo padre? E perché oggi, pensò Tom, oggi che è un giorno come tutti gli altri?
Aveva amiche, colleghe, certo, ma era tutto così strano. Un regalo durante l’orario scolastico.
Appoggiò delicatamente il mazzo di rose sulla cattedra e si alzò dalla sedia.
“Arrivo subito. Voi incominciate a leggere il capitolo”, disse Tom, dirigendosi verso la porta, senza pensare di aver buttato lì una frase a caso – “voi incominciate a leggere il capitolo”. Ma quale capitolo, se aveva appena cominciato a spiegare la lezione?
Raggiunse la bidella in guardiola, seduta su una sedia vicino al termosifone intenta a risolvere un cruciverba. Annette aveva in volto un’espressione così concentrata da sempre che fosse stata seduta lì all’angolo da tutta la mattina. Alzò gli occhi come infastidita. Guardò il professore, che sembrava quasi spavent…no, no, non spaventato. Stupito. Sembrava stupito.
“E’ successo qualcosa, professore? Sembra un cadavere…”
“La donna con cui ha parlato le ha detto come si chiamava?”
Annette sgranò gli occhi.
“Mi scusi, professore?”
Tom respirò profondamente: “La donna che le ha dato il mazzo di rose ha per caso detto come si chiamava?”
La bidella distolse gli occhi dall’uomo e diede un’occhiata fuori dalla finestra: la pioggia scendeva da ormai tutta la mattinata, il cielo era grigio e per quanto fosse giugno – poteva scommetterci – faceva persino freddo. “Mazzo di rose? Io non ho parlato con nessuna donna…”
“Ma lei mi ha portato dei fiori in aula, poco fa!”, urlò Tom, in preda ad un improvviso mal di testa. Qualcosa le stava come scivolando dalle mani, si sentiva la fronte accaldata ed il corpo appesantito. Voleva sedersi, ma l’unica sedia della stanza era occupata dalla bidella.
“Si sta sbagliando”, disse Annette dolcemente, come trovandosi davanti ad un bambino. “Io non ho portato proprio niente in aula, sono ferma qui da quando sono arrivata.”
Nella guardiola calò il silenzio.
“Mi mancano la 37 verticale e la 15 orizzontale e ho finito il cruciverba.”
Tom ignorò la donna seduta vicino alla finestra, il profumo di caffè ed il rumore della pioggia contro i vetri.
Sto ricominciando di nuovo?
Quando rientrò in aula si sedette come un automa, gli occhi vitrei. Una studentessa le si avvicinò con un po’ di esitazione. Era la signorina Lawrenson: “Professore, sta bene? E’ tutto ok?”
“Che fine hanno fatto le rose che erano sulla cattedra?”, domandò Tom senza guardarla negli occhi.
Silenzio.
“Rose?”, domandò la ragazza. “Quali rose?”