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Il cappello magico.

Mio padre incede a passo spedito per le vie della città, coprendo da sempre il suo capoccione- e che capoccione, Signori! Che testa dura!- con un cappello a falde larghe e tondeggianti. In inverno, il cappello è di panno blu, in estate è bianco e tutto in paglia.

State pensando: cosa c’è di tanto strano? Una notizia qualunque, niente di curioso. Un uomo di mezz’età cammina con un cappello per la città. Un modo come un altro, magari elegante, per difendersi dal freddo o dal caldo. Tutto qui.

Certo, mio padre il cappello lo indossa anche in casa e ogni tanto si guarda allo specchio per controllarne la posizione giusta. Ma anche questo, lo capisco, si può considerare come un dettaglio superabile, al limite un vezzo.

Invece no, cari signori!  quel cappello, il cappello di mio padre, ha qualcosa di magico, se vogliamo di apotropaico. E non solo.

E’ un antidoto contro le dimenticanze. Dovete sapere che mio padre è un po’ sbadato, lascia segni di se stesso dappertutto, eppure quel cappello se lo tiene sempre ben stretto sulla testa o tra le mani affusolate. Se – e capita spesso !- vinto dalla fretta, dimentica le chiavi di casa, la sciarpa o il portafogli e risale le scale di corsa, tutto affannato, è attento a stringere forte quel cappello, perché non gli voli via. Insomma, mio padre, quel cappello non se lo scorda mai.

E’ impeccabile come soprammobile: quando va a letto, mio padre, lo piazza sul comodino in perfetto equilibrio. Evidentemente, se ci stanca del solito abat-jour, si può usare come complemento di arredo e nel caso, con somma gioia di mia madre, può essere utile contro gli accumuli di polvere sul comodino.

E’ un metodo antistress. Se mio padre inizia a parlare senza tregua gli si può tappare la bocca con il cappello e godersi un po’ di quiete in santa pace!

E’ una soluzione per uscire il sabato sera. Se solo provi ad avvicinare il cappello alla porta, mio padre, stacca finalmente gli occhi dalla televisione e si alza dalla poltrona per inseguirti. A quel punto, con un po’ di furbizia, mia madre può provare a mettere il cappello in macchina, farsi inseguire fino in garage, fare entrare in auto mio padre, accendere il motore e dirigersi a tutta velocità verso il cinema.

In un mattino di primavera, di quelli con il cielo terso, in cui il sole sembra garantirci che nulla di brutto può accadere, arrivò una telefonata. Rispose mio padre. Quando abbassò la cornetta, mi guardò negli occhi commosso e mi disse, con voce mozzata: Dammi il mio cappello.

Ne accarezzò le falde con gli occhi carichi di lacrime e poi sorrise di un sorriso amaro, ma sorrise.

Quel cappello è un antistress, è una garanzia contro le distrazioni, è comodo per organizzare un sabato sera al cinema . E difende mio padre dal caldo, dal freddo e dal vento.  Il vento tagliente della vita, delle primavere indimenticabili.

Che dite lo compriamo un bel cappello? A falde larghe, di panno o in paglia. Blu, bianco o rosso, se ci va.

Non come quello di mio padre.

Quello no. Quello resterà sempre il cappello di mio padre.