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Metti una domenica al brunch: flamenco e sangria per La Regina Scalza di Ildefonso Falcones

«Il coraggio delle donne è il modo più affascinante che io conosca per raccontare la Storia»: questa la promessa in copertina al terzo romanzo di Ildefonso Falcones, La regina scalza, edito da Longanesi e lanciato sul mercato un paio di settimane fa. Flamenco, tapas e sangria invece l’altra promessa, quella della casa editrice che invita nella sua sede milanese una manciata di giornalisti e blogger per un brunch letterario di domenica mattina. Un non troppo formale incontro con l’autore da cui nessuno in realtà sa cosa aspettarsi, ma che riesce nell’incuriosirci prima e soddisfarci poi: dalla forma al contenuto, per tornare alla forma.

Seduti in cerchio, attendiamo lo scrittore catalano che al suo arrivo stringe tante mani quanti sono i taccuini e, dopo essere stato definito un Dickens moderno e un Verga meno pessimista, risponde divertito alle nostre domande. Si racconta con la musicalità propria della sua lingua e ci guarda negli occhi come la più giovane delle sue protagoniste, la gitana Milagros che nella Siviglia del 1748 incontra la schiava nera e liberata Caridad, d’importazione cubana come i sigari che si contrabbandano tra le pagine della novela. Poi parla, parla e gli piace. Parla e ci piace: ci piace la sua sincerità, la melodia delle sue parole, la stessa che leggiamo nelle settecento e più pagine della sua ultima fatica. Parla di donne e non sembra un caso in questi giorni in cui tanto si fa e si discute della violenza di genere. Parla di donne e di coraggio: il coraggio tutto femminile che nasce dalla necessità e dalla solidarietà. Racconta le forze alternative che chi è nata femmina ha dovuto trovare per difendersi da un mondo creato dal maschio, dall’eroe tradizionale che non ci stupiamo di vedere protagonista e dominatore; auspica l’affermarsi delle figure femminili in questo secolo, preparate e pronte a stupire, forse neanche troppo. Parla del coraggio ancora, quello che è un po’ anche il suo: il coraggio di continuare a scrivere che diventa esigenza, ancor più forte quando il tuo primo romanzo viene rifiutato da una decina di case editrici prima di essere compreso per rivelarsi poi un successo mondiale. Parla della sua attrazione per la storia, figlia di quella per la letteratura, di uno studio dei fatti ben diverso dall’analisi cui lo lega il suo lavoro di avvocato; di ingiustizie sociali ambientate in periodi storici distanti nei suoi romanzi, riscontrabili in ogni epoca prima dell’acquisizione dei Diritti Civili. Parla del mestiere di scrivere, che poi un mestiere non è, ma richiede impegno e dedizione almeno quanto necessita il talento: parla di studio, di tempo rubato e riempito, sottratto al lavoro, alla famiglia e all‘ocio compartido, dello sforzo di leggere che molti dimenticano la sera davanti al televisore, dentro la televisione. Parla della sua Regina, o vi accenna solo, alla gitana e all’incontro con l’immigrata, con «la musica, il sentimento, le passioni che proprio non potevano essere raccontate da protagonisti maschili». Parla e parliamo, e ridiamo come non avremmo creduto per le risposte di un uomo di legge che scrive bestseller.

Poi la musica, il flamenco che parte davvero, entrano i bicchieri, versano sangria, servono paella. Parla, parla ancora, con ognuno di noi: stavolta in piedi, forchetta in mano, guardandoci ancora negli occhi come fa la sua zingara.