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Il mondo industriale di Paolo Volponi

«L’essere liberi è un risultato costante e quindi richiede un continuo allenamento ed anche una continua concentrazione».

Paolo Volponi è nato ad Urbino nel 1924; dopo aver conseguito una laurea in Legge, fondamentale fu l’incontro con Adriano Olivetti, tanto che in breve egli venne assunto presso un ente di assistenza sociale. Volponi entrò poi alla Olivetti di Ivrea (1956) e in un primo momento fu direttore dei servizi sociali, mentre dal 1966 al 1971 ebbe la direzione delle relazioni aziendali.

L’interesse letterario dello scrittore maturò fin dai tempi degli studi universitari, portando alla pubblicazione  della raccolta Il ramarro (1948), una serie di componimenti con tratti di tardo ermetismo e di realismo. Nelle raccolte successive, invece, predomina l’aspetto narrativo: alla fine degli anni Cinquanta avvenne infatti il passaggio dell’autore alla narrativa, dovuto soprattutto dall’influenza del gruppo di «Officina».

Dall’esperienza industriale dello scrittore nacque invece il romanzo Memoriale (1962): la vicenda è narrata in prima persona dall’operaio Albino Saluggia, il cui rapporto con il mondo della fabbrica genera solitudine e paranoia. Seguì l’ideazione di un’opera di formazione che si sarebbe dovuta intitolare Repubblica borghese. Il romanzo non ebbe tuttavia una sistemazione definitiva e fu accantonato per la composizione de La macchina mondiale; venne pubblicato definitivamente solo nel 1991 con il titolo di La strada per Roma. Il romanzo è molto autobiografico: esso narra la vicenda di un giovane che da Urbino tenta di cambiare la propria vita andando in cerca di lavoro a Roma. Ne La macchina mondiale (1965), invece, il protagonista e narratore è un contadino, Anteo Crocioni, che concepisce il mondo come una macchina in cui gli uomini possono riscattarsi con il lavoro: in tal modo si giungerebbe ad una conciliazione tra natura e artificio. Anche nel successivo romanzo, Il Corporale (1974), il protagonista tenta di sottrarsi alla spersonalizzazione del mondo della fabbrica in cui lavora, immergendosi nella realtà che lo circonda. Ciò genera tuttavia un proliferare di punti di vista e situazioni che determinano il carattere “aperto” dell’opera.

Nel 1972 Volponi si trasferì a Torino, strinse rapporti con la Fiat e fu nominato segretario generale della Fondazione Agnelli (1975); tuttavia egli dovette abbandonare questo incarico per il suo appoggio al Pci durante le elezioni amministrative.

A Milano fu consulente della società Finarte e nel 1983 venne eletto senatore nelle liste del Pci. Negli anni Ottanta l’affermazione  di un capitalismo sempre  più  aggressivo fornì lo spunto per l’ultimo romanzo dello scrittore, le Mosche del capitale (1989): dedicato ad Adriano Olivetti, l’opera si presenta come una critica nei confronti degli sviluppi della società industriale. La vicenda riguarda un dirigente che vede i propri progetti e ideali infrangersi di fronte ai meccanismi della realtà aziendale. Evidente è la denuncia della società industriale in quanto mondo ostile in cui la natura appare dominata da ambienti e oggetti artificiali. L’industria e l’economia appaiono guidate da una logica assurda e aggressiva, che non permette alternativa e ha come unico fine la propria crescita. Lo scrittore è morto ad Ancona, nel 1994.

Volponi intende la letteratura come uno strumento per affermare la propria soggettività e razionalità; inoltre, essendo convinto della possibilità di uno sviluppo democratico della società industriale, l’autore dà vita ad una letteratura militante, capace di mettere in luce le contraddizioni di quel mondo per superarle. Utopicamente, Volponi credeva possibile la realizzazione di un equilibrio tra modernità e natura, sebbene anche i momenti più ottimistici della sua narrazione siano affiancati da una lucida visione del presente. L’autore era infatti consapevole della sconfitta che la razionalità democratica subisce di fronte ad un’espansione industriale maggiore e sempre più incontrollata.