La filosofia di Immanuel Kant può essere definita come ermeneutica della finitudine o filosofia del limite. Questa filosofia, però, non deve essere confusa in alcuno modo con lo scetticismo: i limiti dell’esperienza umana diventano la norma di legittimità e fondamento della conoscenza. Il grande filosofo tedesco inizia la sua indagine valutativa circa le due facoltà conoscitive per eccellenza, la Scienza e la Metafisica, teso a stabilire, da una parte, come siano possibili le scienze in quanto tali, dall’altra, la possibilità di una Metafisica in quanto scienza e disposizione naturale dell’uomo. Da questi presupposti nasce il capolavoro insuperato di Kant, Critica della ragion pura, da definirsi anche come critica dei fondamenti del sapere.
Kant è convinto che la Scienza fornisca all’uomo principi universali e assoluti di conoscenza, ovvero quelli che lui definisce come giudizi sintetici a priori: giudizi perché aggiungono predicati a un soggetto (caratteristiche a una cosa); sintetici perché il predicato aggiunge qualcosa di nuovo e di ulteriore rispetto al soggetto; a priori perché sono universali e necessari, in quanto non derivanti dall’esperienza. Non sono, dal punto di vista di Kant, giudizi fondamentali della conoscenza scientifica i giudizi analitici a priori, e i giudizi sintetici a posteriori: i primi, nonostante siano necessari e universali, sono infecondi, perché non aggiungono nulla di ulteriore al nostro attuale patrimonio conoscitivo; i secondi, sono fecondi ma privi di universalità, perché si appoggiano esclusivamente sull’esperienza, quindi a posteriori. Nonostante la logicità dell’argomentazione, Kant non esclude mai l’esperienza: egli ritiene, contro il razionalismo, che la Scienza derivi dall’esperienza, e che, contro l’empirismo, vi siano principi necessari e fondamentali che non derivano dalla medesima. Insomma, l’esperienza è ininfluente senza questi principi, e quest’ultimi vengono prima di ogni esperienza. Senza di essi, la Scienza si muoverebbe nell’incerto e nel relativo. Come risolvere tale rompicapo?
Per materia, Kant intende la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall’esperienza; per forma, quella modalità attraverso cui la mente ordina tali impressioni. Egli ritiene che la mente è capace di filtrare i dati empirici attraverso delle forme che le sono innate, ovvero risultano comuni ad ogni soggetto pensante, tutti le possiedono, le applicano allo stesso modo e vengono prima di ogni esperienza. Queste forme a priori della mente umana sono Spazio, Tempo e le Categorie (concetti puri o concetti basilari della mente).
La motivazione volta a giustificare l’uso delle categorie viene definita deduzione trascendentale: 1) l’unificazione del molteplice può derivare solo da una facoltà che risiede nell’intelletto (umano); 2) egli nomina impersonalmente questa facoltà io penso, come autocoscienza trascendente (senza tale autocoscienza le rappresentazioni non possono configurarsi come mie); 3) le attività dell’io penso sono i giudizi, ovvero i modi attraverso cui il molteplice viene pensato; 4) ma i giudizi si basano a loro volta sulle categorie, essendo esse condizioni necessarie e innate; quindi, 5) ogni cosa pensata viene anche categorizzata. L’io penso kantiano non ha pretese ontologiche come quello cartesiano, e non è un io creatore come quello di Fichte (idealismo): esso ha carattere formale e finito, cioè svolge il compito di ordinare una realtà che gli preesiste.
L’innatismo formale di Kant non intende le categorie come ciò che si conosce, ma ciò attraverso cui conosciamo la realtà; di conseguenza, esse non sono forme a carattere “ontologico ed epistemologico”, ovvero non esprimono una realtà del pensiero o della cosa in sé, ma “gnoseologico e trascendentale”, ovvero le condizioni nelle quali e per le quali ogni soggetto pensante può conosce la realtà fenomenica. In definitiva, Kant ribalta i rapporti tra soggetto e oggetto, ovvero non è la mente che si modella sulla realtà, ma è la realtà stessa che si modella attraverso le forme a priori della nostra mente.
Da ciò nasce la sistematica divisione kantiana della realtà: con fenomeno, Kant intende la realtà quale ci appare attraverso le forme a priori (è reale non l’oggetto in sé, ma il rapporto che si instaura tra il soggetto e l’oggetto); con noumeno, la realtà viene considerata indipendentemente dalla disposizione innata della nostra mente, una x sconosciuta come necessario correlato del fenomeno. Il noumeno non è altro che una conoscenza extra-fenomenica a noi preclusa (al di là della nostra esperienza sensibile), un concetto limite volto ad arginare le nostre pretese conoscitive.
Egli articola la conoscenza in tre facoltà: sensibilità, attraverso cui i dati vengono raccolti intuitivamente mediante le forme a priori di Spazio e Tempo; intelletto, attraverso cui pensiamo i dati sensibili mediante le forme a priori delle Categorie, quindi tramite concetti; ragione, attraverso cui procediamo oltre l’esperienza sensibile per spiegare globalmente la realtà.
Kant ritiene che l’aspetto fondamentale di ogni costruzione metafisica sia l’inclinazione naturale dell’uomo all’incondizionato e alla totalità, ovvero il regno dell’Assoluto. Infatti la ragione, secondo Kant, tende ad unificare i fenomeni a noi interni mediante l’idea di anima, i fenomeni provenienti dall’esterno mediante l’idea di mondo, e la totalità dei fenomeni interni ed esterni mediante l’idea di Dio. Opponendosi al razionalismo in psicologia e in teologia, Kant mostra l’insostenibilità di questi concetti e le loro contraddizioni, soprattutto quelle a carattere ontologico ed esistenziale (come possiamo parlare di mondo essendo qualcosa che sta sempre al di là di ogni nostra esperienza?). Infatti queste idee hanno il grande pregio di essere non tanto a carattere costitutivo, quanto a carattere regolativo: non essendo in grado di fornire nessuna solida conoscenza, forniscono all’esperienza una massima estensione e una massima unità sistematica.
Di conseguenza, la Metafisica dovrà essere scienza di concetti puri, ovvero abbracciare quelle conoscenze indipendenti dall’esperienza fisica. Questa Metafisica, in quanto Scienza, si dividerà in metafisica della natura (studio dei principi a priori della conoscenza naturale) e in metafisica dei costumi (studio dei principi a priori dell’azione morale): ovvero scienza di principi a priori del conoscere e dell’agire.
In questo modo Kant dimostra che i limiti della ragione coincidono coi limiti dell’uomo: varcarli significherebbe avventurarsi in sogni arbitrari, “dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci creano ad ogni istante l’illusione di nuove terre” (cit. Critica della ragion pura).