È nel 1968 che Alice Munro pubblica la sua prima raccolta di racconti, Dance of the Happy Shades. È una data importante questa, non solo perché questo primo lavoro varrà alla più eccellente scrittrice canadese il Governor General’s Award (importante premio letterario canadese), ma anche perché un forte vento di rivoluzione si respira nell’aria. La si respira a pieni polmoni, assaporandone il profondo desiderio di indipendenza portato dal vento. Sono pochi quelli capaci di interpretare, di descrivere, il profumo di questo vento, ed Alice Munro appartiene al clan degli eletti, traduttrice perfetta di una letteratura nuova, fresca, acuta.
“Danza delle ombre felici”, titolo italiano, uscirà nel nostro paese solo nel 1994, edito La Tartaruga, e con uno scarsissimo successo. Solo quest’anno, fortunatamente, Einaudi ha pensato bene di rispolverare questo preziosissimo gioiello, con una magistrale traduzione a cura di Susanna Basso. Quindici racconti, storie in cui si disegnano in un quadro dalle tinte tenui ma precise, i tratti di una piccola realtà le cui sfumature si presentano, agli occhi del lettore, con immagini reali, immediate, quasi fosse possibile sentire il profumo del mare nel porto di Dunnangon (descritto ne “Il Cowboy della Walker Brothers”), e si percepisse-come trasportato dalla brezza- il sussurro del barbone che chiede l’elemosina. Paesaggi, strade, negozi, descritti come veri e propri protagonisti, capaci, al momento giusto, di lasciare la scena a protagonisti profondamente comuni.
Si leggono come gioielli questi racconti, e come tali richiedono di essere spolverati e lustrati con attenzione, perché solo con una lettura attenta è possibile coglierne il senso, un senso che Munro dissemina tra le sue righe come un tesoro. E una sola lettura potrebbe non rivelare subito l’essenza delle cose che si maschera da leggera, indifferente, banalità. Come dimostra Mary, protagonista di “Case Bianchissime”, in cui fin dal titolo si imprime l’immagine di una strada lucente, linda, pura, come ci si aspetta sia la giovinezza, come dovrebbe essere la superficiale bellezza di un’esistenza perfetta, priva di errori, di macchie, una strada dritta e senza errori. Ma gli errori ci sono, e si nascondo dentro la nostra stessa anima, nelle nostre imperfezioni, nel segreto desiderio di rompere gli schemi e guardare negli occhi la realtà. Munro ritrae con accuratezza quella macchia indesiderata, metaforicamente impersonata dalla vecchia, sciatta, Mrs. Fullerton, i cui occhi “neri come le prugne”, in cui si riflette una luce senza vita, spingono Mary a ribellarsi, a rifiutare di cedere allo scintillante, inarrivabile, sogno di una perfezione priva di sostanza. E ancora in “Vestito Rosso”, in cui un senso di inadeguatezza esprime l’inafferrabile, inesprimibile, sensazione di diversità, l’incapacità di sentirsi parte del “gruppo”. Una diversità che non è data da un’imperfezione del viso, né da una caratteristica fisica o un difetto del carattere, ma da un sentimento indefinito, un’intima consapevolezza di non appartenere alla strada comune. Munro descrive queste ombre con uno sguardo trasversale, delicato, attraverso sfumature che riempiono di significato le parole non scritte.
Racconti, un genere che Alice Munro veste come un tatuaggio, storie che si rivelano in un frangente, svestendo la vita dal velo ipocrita che la riveste, mostrando l’ essenza dell’esistenza nascosta nella quotidianità, le ombre oscure che costruiscono la felicità. Come la protagonista de “Lo Studio”, che in un’epifania quasi Woolfiana, svela le trame del suo destino mentre stira una camicia. Temi rivelatori, ma anche contrasti che preannunciano quella che sarà la letteratura futura di Munro, come il rapporto conflittuale tra madri e figlie. Una lotta senza fine, in cui le figlie si ribellano alla figura di una madre che incarna un ruolo standardizzato, a cui sembrano essere geneticamente predestinate.
Un linguaggio che scava nel profondo delle menti dei suoi personaggi, delineandoli nei loro tratti, apparentemente leggeri, con una precisione che lascia pregustare la maestria di un Premio Nobel. Alice Munro ha uno sguardo delicato, intimo, preciso e acuto, non lasciatela sugli scaffali impolverati delle librerie!