«Dietro di me son tutti fratelli quelli che vengono, anche se non li vedo e non li conosco bene. Mi contento di quello che abbiamo in comune, più forte di tutte le divisioni. Mi contento della strada che dovremo fare insieme e che ci porterà tutti ugualmente; e ci sarà un passo, un respiro, una cadenza, un destino solo. […] Non c’è tempo per ricordare il passato o per pensare molto, quando si è stretti gomito a gomito, e c’è tante cose da fare; anzi, una sola, fra tutti. Andare insieme».
Renato Serra nacque a Cesena il 5 dicembre 1884 da una famiglia borghese e crebbe in questa città romagnola. La sua formazione fu prettamente positivista, sebbene alla scuola di Giosuè Carducci a Bologna egli ebbe modo di sviluppare una grande passione per i classici e un gusto letterario. Cifra dominante della poetica dello scrittore è infatti il conflitto tra un classicismo, inteso come ideale di misura e di continuità con la tradizione, e un irrazionalismo, tratto prevalente della cultura di inizio Novecento. La sensazione di una rottura dell’equilibrio classicista indusse Serra ad alienarsi dalla frenesia del presente, rifugiandosi in uno spazio lontano dal tempo: la letteratura. L’autore coltivò pertanto un umanesimo letterario che gli permise di estraniarsi dai processi della società industriale in cui viveva.
Nel 1907, dopo il servizio militare, lo scrittore seguì dei corsi di perfezionamento a Firenze e divenne direttore della Biblioteca Malatestiana nel 1909. In questo periodo strinse amicizia con Luigi Ambrosini, con cui nel 1910 progettò la rivista Neoteroi, che tuttavia non fu mai pubblicata; l’autore ebbe una corrispondenza epistolare anche con Benedetto Croce. Serra fu in contatto anche con il gruppo della «Voce», sebbene i rapporti fossero piuttosto conflittuali; nonostante lo scarso numero di scritti pubblicati su questa rivista, gli ideali dello scrittore si diffusero rapidamente.
Nel 1914 l’autore compose Le Lettere, un saggio che si proponeva di effettuare un panorama della letteratura italiana del 1913: si tratta di un esempio di critica militante in cui è presente una contraddittorietà tra l’ottimismo veicolato dalla diffusione della letteratura e il pessimismo derivante dal rischio di mediocrità a cui poteva andare incontro una produzione letteraria di massa. Serra constata infatti l’impossibilità di una scrittura di tipo creativo: per questo motivo egli assume la posa di critico della letteratura, prestando particolare attenzione al contatto tra lettore e opera letteraria. La saggistica di Serra si configura quindi come una meditazione sull’opera letteraria, espressa attraverso una prosa nitida sebbene talvolta ambigua; un esempio è offerto dai saggi la Commemorazione di Giovanni Pascoli (1921) e La Commemorazione di Giosuè Carducci.
Nel 1915 sulla «Voce» pubblicò l’Esame di coscienza di un letterato, considerato una sorta di testamento spirituale di Serra, scritto prima della morte in trincea; proprio in questo stesso anno lo scrittore morì combattendo sul Podgora.
Il pessimismo nei confronti della società contemporanea e la volontà di rifugiarsi in un altrove letterario hanno fatto parlare di «prospettiva nichilista» a proposito della poetica di Renato Serra; nonostante l’immagine di letterato classicista che lo scrittore tentò sempre di dare di sé, è tuttavia percepibile un nichilismo latente al di sotto dell’equilibrio sempre anelato. Tuttavia, la passione letteraria a volte sembra cedere al richiamo del mondo esterno, come dimostra la partecipazione dell’autore agli eventi della guerra; ciò dimostra la volontà di identificarsi con un destino collettivo, emergendo dall’isolamento che egli aveva imposto a se stesso. Il passaggio dall’accettazione della cecità della storia e dei suoi meccanismi irrazionali è segnato dalla partecipazione attiva dell’autore alle vicende belliche; intendendo la guerra come un «andare insieme», Serra decide di abbandonare la propria solitudine e la separazione dal mondo. Questo atteggiamento porta l’autore ad aderire alla rovina collettiva e alla comune partecipazione verso qualcosa di indefinito e oscuro, che ha la morte come unico senso.