C’è un bue dietro il tronco dell’albero.
Lui, il bue, ha gli occhi per guardare e osserva i ciechi attraversare la terra arida e secca. Poi abbassa lo sguardo davanti a quelle figure. Percepisce, come l’uomo sensibile, il disagio di quegli uomini che sembrano appestati e cala il muso verso il basso, spinto da un senso di pietà, di compassione. Vorrebbe proseguire, camminare su quella terra, ma resta lì come per consentire a quegli uomini un camino più agevole e comodo. Non li ostacola, poi si fa coraggio e li fissa, ancora, per qualche secondo e poi di nuovo abbassa gli occhi sulla sterpaglia che affianca l’albero ed è sotto il suo muso. Non mangia quella sterpaglia, anche se ha fame. Un senso di rispetto per quegli uomini che sembrano brancolare nel buio lo frena.
Dove andranno ? Ce la faranno ad arrivare ? Il bue conosce la paura e ha paura del tramonto che, piano piano, si spegne e va verso il buio. Nel buio i ciechi si sentiranno ancora più impotenti. Il bue sa che sono ciechi. L’uomo con il dono della vista si muove con passo superbo, loro no. Sono lenti, umili e senza potenza.
Anche il bue si sente così impotente quando la mole dei sacchi di farina pesa sulla schiena e l’unico mezzo che ha per contrastare la fatica eccessiva è l’immobilità. Il bue non può parlare per dire a chi lo segue e lo bacchetta che è stanco: non ha voce. Ha il silenzio.
E quando il cammino diventa ostico, senza urlare clemenza, si ferma.
Dagli occhi del bue, ora, scende una lacrima. La lecca, ha sete. Quando i ciechi scompariranno dalla sua vista andrà verso la fonte più vicina. E’ a pochi passi. Chissà se quegli uomini si fermeranno alla stessa fonte.
Prega che sia così, prega che si addormentino, vicino quella fonte, con il rumore dell’acqua. Quando la luce morirà e arriverà il freddo il bue, allora, in silenzio riscalderà con il fiato che sa di sterpaglia quei corpi stanchi.