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La vecchiaia invisibile: ne parla Lidia Ravera, in “Piangi pure” (Bompiani, 2013)

…noi esistiamo in quanto qualcuno ci guarda.

Se nessuno ti guarda non esisti.

(c) Lidia Ravera – all rights reserved

 

  Non è facile raccontare la vecchiaia. Lo stereotipo è in agguato. Ma Lidia Ravera lo scansa con disinvoltura, disegnando un personaggio fuori dagli schemi, l’indomita Iris De Santis, quasi ottantenne, una burrascosa vita matrimoniale alle spalle, una figlia che non le perdona una fuga d’amore durata alcuni mesi. La storia inizia con la decisione di Iris − gravida di conseguenze narrate con delicatezza e disincanto − di vendere la nuda proprietà della casa in cui abita. Nello stesso stabile Carlo, psicanalista, ha lo studio. Il suo sguardo sottrae Iris all’invisibilità della vecchiaia e tra i due si sviluppa un rapporto intenso e tenero.

  È simpatica, Iris. Beffarda, tagliente, restia a lasciarsi confinare nella terra di nessuno che precede la morte, quel periodo incolore in cui, secondo appunto gli stereotipi, inizia già il distacco dalla vita: “Ho pensato: è questo che odio, della vecchiaia. Nessuno ti dà il suo numero di telefono. Neanche se gli sei simpatica. Te lo danno se glielo chiedi. E a me scoccia chiedere.

  Armata della sua forza di volontà e della sua lucida ironia, Iris è una che non si è arresa, una che ancora cerca briciole di felicità: “Ero triste e felice, un impasto cui forse dovrei abituarmi, in quanto la tristezza è stabilmente insediata nella vecchiaia e la felicità un ospite frettoloso.

  Come si fa a non amare una capace di rifugiarsi “nella vita poetica (datemi una metafora decente e sopporterò la mia croce)”?

Rosalia Messina