Lunedì mattina, fuori è ancora buio, piove. Il treno non aspetta, non può sapere che hai bisogno di altri dieci minuti a letto per metterti in pace con la testa e con il mondo per iniziare una nuova settimana. E se lo sa se ne frega. E allora via giù a fare colazione (se ne hai tempo e voglia) e di corsa a lavoro. Sguardo stanco, occhi che guardano ma non vedono, orecchie che vorrebbero un altro po’ di cartilagine a chiudere la porta ai suoni esterni.
Deve essere proprio così? Si può arrestare quest’abbrutimento quotidiano? Il lavoro può diventare fonte di rigenerazione individuale e collettiva? Tutto dipende dai presupposti, dalle aspettative e dalle proprie esigenze personali. Almeno così la pensa il filosofo Roman Krznaric che nel suo How To Find Fulfilling Work spiega come trovare un lavoro che sia appagante e stimolante. Nessuno vorrebbe essere come Sisifo, costretto per punizione divina a uccidersi di fatica per trasportare un masso fino alla sommità di un monte per poi vederlo immancabilmente ricadere giù e dover ricominciare da capo. All’infinito. Dostoevsky, riprendendo lo stesso tema, afferma che “se si vuole distruggere completamente un uomo […] gli si dovrebbe far fare il lavoro più inutile e privo di senso”.
Per ovviare a tutto questo, Krznaric comincia con il sottolineare che “il desiderio di un lavoro appagante […] è un’invenzione moderna”. Per secoli il lavoro (Latino labor) è stato sempre considerato come una fatica, un atto necessario per il proprio sostentamento che richiede sforzo e sacrificio. È solo negli ultimi decenni che il lavoro è diventato un parametro di gratificazione personale e successo sociale. Secondo Krznaric con l’accesso delle donne al lavoro e il fenomeno dell’educazione e scolarizzazione di massa, soprattutto negli anni 50 e 60, nel lavoro si trasferiscono ambizioni che, se disattese, portano alla frustrazione e alla disaffezione.
Questi sogni di gloria, sono tuttavia i nostri? Forse no. “Il modo in cui l’educazione può bloccarci dentro carriere stabilite, o almeno decidere la rotta del nostro viaggio, non sarebbe poi così problematico se fossimo davvero in grado di valutare i nostri futuri interessi” durante la nostra adolescenza, quando scegliamo la scuola e poi l’università. Proprio la mancanza di esperienza del mondo e un’immatura conoscenza dei nostri valori e delle nostre passioni fa sì che “ci troviamo facilmente a seguire carriere che la società considera prestigiose, ma verso le quali non proviamo nessun interesse che ci possa soddisfare quotidianamente”.
Krznaric suggerisce così di imparare a conoscere precocemente soprattutto i nostri talenti e desideri. Anziché guardare alle nostre specializzazioni e qualifiche sarebbe meglio valutare “i nostri interessi, valori, esperienze che potrebbero farci essere degli ottimi web designer oppure dei valenti gestori di un caffè biologico”. Conoscersi meglio e capirsi di più: lavorare su sé stessi, sulla propria individualità. E forse questo il segreto per avere una vita, anziché un lavoro, di successo?