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“Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, trionfo dell’incastro narrativo

È il 1973. Un cinquantenne Italo Calvino pubblica un volume di grande forza creativa, destinato a grande fortuna: Il castello dei destini incrociati. Si tratta di un romanzo che segna l’apice di una maniacale tendenza dello scrittore allo studio delle tecniche di combinatoria narrativa, già sperimentate in due precedenti opere, Le Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967).

I testi che seguono, composti tra il ’68 e il ’72, si costruiscono attraverso un’esibizione del meccanismo combinatorio quanto mai diretta, mettendo in scena la varietà infinita delle combinazioni che il narratore si trova davanti. Fondamentale per la creazione dell’opera risulta la partecipazione ad un seminario sulle strutture del racconto, tenutosi a Urbino proprio nel 1968: è qui che Calvino matura l’idea di costruire un affascinante percorso narrativo a partire dalle carte dei tarocchi (già oggetto di studio della semiotica da parte della cultura europea), dalla cui disposizione e combinazione si generino le trame dei racconti.

A tappe la genesi del romanzo: utilizzando le immagini di una celebre raccolta di tarocchi (risalente al XV secolo e miniata da Bonifacio Bembo per i Visconti) Calvino realizza l’opera; anzi, per esser più precisi, la sua prima parte, pubblicata nel 1969 con il titolo Il castello dei destini incrociati dall’editore Franco Maria Ricci in una lussuosa edizione all’interno del volume Il mazzo visconteo di Bergamo e New York. Compone successivamente un altro testo, servendosi questa volta delle carte dei tarocchi di Marsiglia, dal titolo La taverna dei destini incrociati. Sia Il castello che La taverna vengono infine raccolti insieme e pubblicati nel 1973 nel volume intitolato Il castello dei destini incrociati.

Nel corso di viaggi dal contorno più che mai indefinito, un gruppo di pellegrini giunge nel primo testo in un castello, nel secondo in una taverna. Essi sembrano aver perso la parola, ma, seduti intorno ad un tavolo, disponendo le carte dei tarocchi in un certo ordine e seguendo il significato delle figure in esse rappresentate, raccontano una serie di storie, le quali si organizzano secondo diversi rapporti, latenti o palesi. In entrambi i testi sono dei “quadrati” a dar vita ai racconti, costituiti da strutture essenziali e situazioni che si ripetono più volte (la varietà risulta certamente controbilanciata dal limitato numero di figure umane presenti nelle carte).

Forte risultano la suggestione e l’influenza di Ariosto, da sempre amato dallo scrittore (due storie si intitolano Storia di Orlando pazzo per amore e Storia di Astolfo sulla luna).

Ma leggendo Il castello dei destini incrociati si percepisce subito la struttura del tutto particolare dell’universo narrato, in cui impalcature di natura matematica si fondono inestricabilmente a grandi archetipi narrativi dove si condensa il senso del destino dell’uomo, la cui esistenza – individuale e sociale – appare condannata a ruotare perennemente e a perdersi in una combinatoria infinita.

Il gioco dei tarocchi permette a Calvino di realizzare un’opera metaletteraria, dove la combinatoria narrativa si manifesta in tutta la sua evidenza, ma ancora su un terreno astratto. Dalla stessa analisi metanarrativa, ma più rapportata alla realtà, sarebbero nate quasi contemporaneamente Le città invisibili.