Emily Brontë, l’ardente, la geniale, l’indimenticabile, l’immortale Emily. Non scrisse che pochi versi, brevi liriche, aspre ferite alla cui malìa non si sfugge. E un romanzo, Wuthering Heights, un romanzo come non se non sono mai scritti prima, come non saranno mai scritti dopo. Lo si è voluto paragonare al King Lear. Ma veramente, non a Shakespeare fa pensare Emily, ma a Freud; un Freud che alla propria spregiudicatezza e al proprio tragico disinganno unisse le più alte, le più pure doti artistiche. Si tratta di una fosca vicenda di odi, di sadismo e di represse passioni, narrate con un stile teso e corrusco spirante, fra i tragici fatti, una selvaggia purezza. Il romanzo romantico se mi consente il bisticcio, ha qui raggiunto il proprio zenith.
Con queste parole Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore di un altro capolavoro del tardo romanticismo, Il Gattopardo, raccontava la “sua” Emily Brontë, la scrittrice e la donna, contrastata e fiera, indomita e tormentata, autrice di uno dei romanzi forse più controversi dell’epoca vittoriana e non solo, che ancora oggi divide critici e appassionati della letteratura romantica: Cime Tempestose.
Proprio a questo romanzo difficile, straziante, a tratti oscuro eppure illuminato, la seconda delle tre sorelle Brontë scrittrici deve la sua fama immortale. E sono in molti a pensare che tra quelle pagine si nasconda l’essenza più profonda della tormentosa personalità della sua autrice.
Figlia di un reverendo di campagna, Emily Brontë nasce a Thornton, nello Yorkshire, il 30 luglio 1818, due anni prima che la famiglia si trasferisca a Haworth, nel West Yorkshire, per seguire il padre nella sua vocazione di curato. Qui Emily trascorrerà la sua infanzia, segnata precocemente dalla perdita della madre Maria, scomparsa nel 1821 quando Emily ha solo tre anni, e delle sorelle maggiori, Maria e Elizabeth, morte entrambe di tisi nella primavera del 1825.
I lutti precoci contribuiscono a creare un clima domestico riservato e schivo: la famiglia si richiude in se stessa, e i piccoli Brontë, le tre sorelle e il fratello Branwell, proseguono in casa la propria educazione, spalleggiandosi l’un l’altro e costruendo un mondo fatato tutto per loro, in cui un forte peso hanno le storie di soldati inventate a partire dal regalo paterno di una scatola di soldatini, e le storie di fantasmi raccontate dalla governante Tabby.
In quest’atmosfera, caratterizzata da un forte legame, soprattutto tra le tre sorelle, Charlotte, Emily e Anne, nasce e cresce il talento di Emily Brontë: a 18 anni scrive la sua prima poesia datata, ma il suo estro letterario ha già avuto modo di esprimersi durante i giochi domestici, seppure smorzato dalla “dittatura” dei fratelli maggiori, Branwell e Charlotte. Una circostanza, questa, con cui Emily dovrà confrontarsi durante tutta la sua carriera di scrittrice: la passione per la letteratura e la scrittura sarà oggetto di dissimulazioni e nascondimenti, e Emily Brontë, così come le sorelle, sarà costretta a viverla in sordina, celandosi dietro a uno pseudonimo, quello di Ellis Bell, per sfuggire alle critiche del severo ambiente vittoriano che impediva alle donne di dedicarsi pubblicamente a lavori di natura intellettuale.
La lotta al bigottismo sarà una caratteristica che influenzerà fortemente lo stile narrativo di Emily Brontë: taciturna e riservata di natura, sarà sempre gelosa dei suoi scritti, in cui riversa parti intime e profonde di sé, e in cui oggi sono ravvisabili i dubbi, le intemperanze, le silenti necessità e le ossessioni di una giovane donna dell’epoca vittoriana; quando la sorella minore, Anne, scoprirà, nel 1845, i suoi quaderni di poesie, Emily andrà su tutte le furie e rifiuterà a lungo la proposta di pubblicarli, lasciandosi convincere soltanto dall’idea di raccogliere tutte insieme le poesie delle tre sorelle, in un unico volume, intitolato Poems by Currer, Ellis and Acton Bell, nascondendo l’identità delle autrici dietro pseudonimi maschili.
Dopo il tentativo durato pochi mesi di insegnare in una scuola a Halifax (1838), e una breve parentesi all’estero, Bruxelles, dove si reca nel 1842 con la sorella Charlotte per apprendere le lingue, Emily torna nello Yorkshire in occasione del funerale della zia Elizabeth, trasferitasi a casa loro all’epoca della morte della madre. Qui, nella sua casa natale la scrittrice rimane, occupandosi della faccende domestiche anche dopo essersi ammalata di tubercolosi, malattia per la quale rifiutò sempre ostinatamente le cure dei medici, cosa che contribuì ad accrescere il mito della scrittrice tormentata, e che infine la uccise, il 19 dicembre 1848.
Appena un anno prima, la pubblicazione del suo Cime Tempestose aveva scatenato reazioni contrastanti, a differenza di Jane Eyre della sorella Charlotte, da parte della critica, incapace all’epoca di comprenderne la potenza ispirata e la forza innovativa. Oggi il capolavoro di Emily Brontë è considerato uno dei più bei romanzi della letteratura mondiale. Come scrive Virginia Woolf:
Cime tempestose è un libro più difficile da capire di Jane Eyre, perché Emily era più poeta di Charlotte. […] Il suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più bisogno di un corpo.
E in quei tocchi di genialità lo spirito di Emily Brontë vive ancora oggi.